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(Corriere della Sera, 1 settembre 2007) Il manifesto non dà luogo a troppi equivoci, benché sia concepito esattamente per questo. Nella parte alta, sullo sfondo di una limpida bandiera svizzera, tre pecorelle bianche brucano il suolo. In basso una di loro scalcia via una pecora nera, proprio sopra una grossa scritta: “Creare sicurezza”.

È il manifesto di cui il Partito Popolare Svizzero (Svp) ha fatto il simbolo della campagna elettorale in vista delle politiche del 21 ottobre. Sotto quella bandiera, viaggia la raccolta di firme per un referendum calibrato sul filo dell’affronto razzista, esattamente come l’immagine delle pecore bianche contro quella di colore più scuro.
La proposta di modifica costituzionale punta a far passare una nuova legge contro i cosiddetti “stranieri criminali”. Stavolta però lo fa dando loro un’accezione davvero vasta: secondo i popolari svizzeri, radicati in buona parte dei cantoni di lingua tedesca, dai 14 anni in su le “pecore nere” andrebbero espulse subito a ogni reato o irregolarità commessa.
Ma non da sole: con tutti i loro familiari immigrati, come se la condivisione dei geni fosse di per sé una colpa. Dovrebbe così scattare l’allontanamento dai confini in blocco per ogni nucleo di stranieri nel quale si trovi un ragazzo colpevole di reati legati alla droga, a episodi di violenza ma anche allo “scrocco di aiuti sociali”.

“I capifamiglia devono essere in ogni caso responsabili delle colpe di componenti minorenni del nucleo familiare”, recita la propaganda martellante di questi giorni. “Siamo convinti che i genitori debbano rispondere dell’ educazione dei figli. Se non lo fanno, toccherà loro sopportare le conseguenze del caso”, taglia corto il presidente del partito Maurer.
Lui stesso qualche giorno fa era stato ancora più chiaro: “Non appena le prime dieci famiglie con i loro bambini saranno state espulse da questo Paese – aveva detto – le cose miglioreranno di colpo”. E certo il fatto che la Svp corra nei sondaggi pre-elettorali nelle vesti di partito centrista non contribuisce ad allentare la pressione sul 20% di immigrati sul totale della popolazione elvetica. Né è un segnale distensivo il fatto che l’esponente di maggior spicco del partito, Christoph Blocher, sia ministro federale della Giustizia. Le associazioni per i diritti umani e le fondazioni antirazziste da giorni sono in ebollizione. Ronnie Bernheim, della Fondazione svizzera contro l’antisemitismo, ha richiamato esplicitamente la pratica nazista della “Sippenhaft”, la “responsabilità di clan”.
Ma Blocher è troppo navigato per lasciarsi identificare facilmente con il feroce populismo alpino dell’austriaco Jorg Haider. Con il passare dei giorni, la partita della Spv per il referendum si trasforma così in una provocazione dal dosaggio perfetto perché il messaggio passi pur restando sempre inafferrabile.
Il governo della città di Ginevra, a maggioranza di centrosinistra, ha condannato pubblicamente i manifesti sulle pecore di diverso colore. Ma non è riuscito, o non ha voluto, concludere che quell’immagine viola le leggi sulla tolleranza etnica della Confederazione.

“Le pecore bianche e quella nera rappresentano i buoni e i cattivi cittadini, non etnie diverse”, spiegano senza sosta i portavoce della Spv. D’altra parte il manifesto del partito sottolinea anche che “gli stranieri che si attengono alla legge e si comportano con decenza sono i benvenuti”. E il partito di Blocher si è subito affrettato a presentare e propagandare “forti liste di giovani immigrati”.
In queste condizioni, il gioco sul filo del rasoio continuerà fin dopo il voto. Per ora i socialisti segnalano che non ripeteranno una nuova coalizione di larghe intese che includa Blocher, che però governa con loro già dal 2003. Ma la frattura potrebbe aprirsi soprattutto su linee geografiche, non di partito: la minoranza francofona del paese, centrata sulla cosmopolita Ginevra, rischia di trovarsi sempre più schiacciata da una maggioranza di lingua tedesca isolazionista in Europa ma tollerante verso la sottile propaganda populista di nuova generazione.