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Articolo di Leonardo Fiorentini su l’Unità del 18 aprile 2025.

La Regione Emilia-Romagna ha preso una netta posizione contro il “Decreto Sicurezza” del Governo Meloni. Con una risoluzione votata il 16 aprile da tutta la maggioranza, l’Assemblea legislativa ha chiesto alla Giunta di attivarsi urgentemente per fermare la conversione del provvedimento e, qualora ne sussistano i presupposti, di ricorrere alla Corte costituzionale.

Il testo, a prima firma Paolo Trande (AVS – Coalizioni civiche – Possibile), è stato presentato insieme ai colleghi di gruppo Simona Larghetti e Paolo Burani e al consigliere Giovanni Gordini (Civici), e critica duramente il decreto, sottolineando come esso rappresenti un ulteriore passo “in un consapevole percorso di criminalizzazione e repressione del dissenso da parte del Governo”, che, di fronte a “instabilità e malcontento, al disagio sociale e alla marginalità, risponde col carcere”.

Un passaggio significativo della risoluzione è dedicato all’articolo 18 che colpisce duramente il settore della canapa industriale, vietando la produzione e la vendita delle infiorescenze — pur prive di qualunque effetto psicoattivo — e assimilando il loro trattamento sanzionatorio a quello delle sostanze psicotrope. La risoluzione denuncia le “importanti ricadute sul versante occupazionale” in una filiera che in Emilia-Romagna era saldamente insediata, anche perché proprio qui rappresenta una coltura tradizionale con radici millenarie.

Non è un caso: oltre ad appellarsi ai Presidenti delle Camere perché il decreto non sia convertito in legge, il documento — grazie a un emendamento presentato da AVS, PD, M5S e Civica — impegna anche la Giunta regionale a valutare se le norme intervengano su materie di competenza regionale, come lo sono ad esempio le politiche agricole, o comunque su “i principi e le disposizioni fondamentali della Costituzione”, al fine di elaborare un ricorso alla Corte costituzionale.

Come ha affermato la capogruppo di AVS, Simona Larghetti, “aumentare il numero di reati non aumenta la sicurezza, ma solo il controllo sociale e le possibilità di zittire opinioni politiche in disaccordo con quelle dell’attuale Governo”. Il consigliere Burani ha aggiunto che “il nuovo decreto è il manifesto politico di un governo che ha scelto di criminalizzare il dissenso, intimidire le libertà civili, colpire chi lotta per i diritti e per il clima. Non è una svista, è una strategia.”

Si apre così una nuova possibile strada di conflitto nei confronti della stortura messa in atto dal Governo, che — sottraendo al Parlamento norme che erano pronte per essere approvate — ha dimostrato la propria incuranza dei principi democratici. Vedremo se altre regioni percorreranno la strada emiliano-romagnola. Altre questioni di legittimità costituzionale saranno probabilmente presto sollevate incidentalmente nei tribunali. Una prima eccezione è già stata presentata a Milano, per due casi di resistenza a pubblico ufficiale a cui è stata applicata la nuova aggravante introdotta dal decreto.

Del resto, le norme hanno cominciato a dispiegare i primi effetti già nel primo weekend dopo l’entrata in vigore, con episodi preoccupanti come la violenta carica del corteo per la Palestina a Milano e i manganelli contro il rave a Torino. Il decreto è stato applicato anche in Albania, contro una decina di “ospiti” del CPR che, dopo aver protestato per essere stati deportati a loro insaputa nell’enclave albanese, sono stati trasferiti nel carcere limitrofo.

Un esempio lampante di come un apparato normativo possa essere di per sé criminogeno. Una ragione in più per sostenere le azioni di lotta collettiva e scendere in piazza il prossimo 31 maggio insieme alla rete nazionale “A pieno regime”.