Legalizzare le droghe: una questione di principio

In Italia (e non solo), la proibizione di vendere e consumare droghe è solitamente legittimata con motivazioni assieme (pseudo) morali e (pseudo) scientifiche.

Consumare droga, ci dicono gli "esperti", fa male. Abusarne può addirittura essere letale.

Ergo, qualcuno, lo Stato, deve premurarsi di impedire a chi lo vorrebbe di fare uso di stupefacenti. Beninteso, per il nostro bene.

Anzitutto, seppure il dato della pericolosità dell’uso delle droghe pesanti sia fuori discussione, anch’esso andrebbe probabilmente ridimensionato.

E’ un grande psichiatra contemporaneo, Thomas S. Szasz, ad insegnarci come sovente le droghe siano soltanto capri espiatori della "farmacocrazia", l’ultima edizione, in chiave moderna e "scientifica", della Sacra Inquisizione. E’ tipico di ciascuna epoca distinguere fra "panacee" e "panpatogeni", capri espiatori. La medicina dell’800 vedeva l’oppio come la vera panacea, come quella attuale tende a distinguere arbitrariamente fra droghe legittime e "sante" (medicine) ed altre illegali ed "empie".

Si possono dunque sgretolare questi dogmi, c’è chi l’ha fatto e con grande efficacia, ma la questione proibizionismo / libertà non deve vertere su questi temi, ma su ben altri.

Quando i proibizionisti ci dicono che il consumo di droga diminuisce da 10 a 40 anni gli anni di vita del soggetto, non serve una confutazione scientifica per dimostrare loro che non è un valido argomento per impedire di consumare stupefacenti.

Non lo è per un motivo semplice, quasi banale :

sebbene questo fatto ci addolori, ciascun individuo, in una società che ama credersi libera, deve poter scegliere che tipo di vita condurre. Si può scegliere di essere longevi come si può volere lasciare ai propri figli un patrimonio cospicuo ; questa scelta può comportare l’astinenza dal gioco d’azzardo come una maggiore morigeratezza nel mangiare, come il non investire in borsa o il non fumare, non passare col rosso o non andare in crociera. Non possiamo azzardarci a definire più o meno "razionale" nessuna di queste opzioni, perchè manca qualsiasi criterio "oggettivo" in merito. Al massimo, possiamo constatare la vicinanza o la lontananza dalla nostra morale di chi sperpera i propri soldi andando a puttane piuttosto di chi li investe in un sicuro (?) fondo-pensione.

Questo ragionamento implica un presupposto fondamentale ;

ovvero che un individuo abbia dei diritti, a lui derivati dallo stesso fatto di esistere. Quelli legati all’assoluta proprietà del proprio corpo e della propria vita.

Il diritto, in estrema sintesi, di farne ciò che meglio crede. Questo può includere l’applicarsi nello studio per essere ammesso ad una prestigiosa Università, ma anche il bighellonare senza meta, o il fare uso di droghe pesanti o leggere. Senza che questo implichi - detto per inciso - l’essere "sbandati":

di fatto siamo talmente tanti e sappiamo talmente poco (neanche l’1%) del mondo che ci circonda da non poter ergerci a giudici, sempre che si abbia un po’ di onestà intellettuale.

Non possiamo perchè non ci è possibile entrare nella testa di milioni di altri singoli individui, capire le loro problematiche, valutare le loro reazioni.

Se questa è una delle ragioni fondanti di una società libera, che ci permetta di scambiarci (secondo la nostra volontà e alle nostre condizioni) informazioni e beni, è anche un elemento fondante di quel buon senso che dovrebbe permetterci di opporci con vigore a qualsiasi provvedimento liberticida.

Proibizionismo incluso.

Alberto Mingardi