Ricordate l’Assemblea generale delle Nazioni Unite sulle droghe di un anno fa? Una celebrazione della più consunta retorica antidroga, ad iniziare dallo slogan (Un mondo libero dalla droga, possiamo farcela!). Oltre a lanciare il famigerato piano Arlacchi per l’eliminazione totale (sic!) delle coltivazioni illegali in dieci anni, l’assemblea aveva anche approvato una dichiarazione sulla riduzione della domanda. Il segnale di una cauta svolta verso un approccio più “ragionevole”, oppure un tentativo dell’Onu di “rifarsi il look”, glissando sul disastroso bilancio delle strategie repressive ed estendendo il suo protettorato burocratico sugli interventi sociosanitari? “La seconda che hai detto!” verrebbe da dire, con un comico nostrano, a leggere il “piano d’azione sulla riduzione della domanda” varato a Vienna in Marzo nella 42° sessione della Commissione delle Nazioni Unite sugli stupefacenti: un’assise, guarda caso, composta di funzionari dell’amministrazione dei vari paesi, in quasi totale assenza di responsabili politici. Il piano consiste in 13 obbiettivi di stupefacente (mai parola è più appropriata) genericità, quali: “applicare la dichiarazione dell’assemblea Onu, per raggiungere significativi e calcolabili risultati entro il 2008” (obbiettivo 1);”promuovere programmi di informazione, educazione e comunicazione (…) in modo da veicolare appropriati e accurati messaggi sull’abuso di droghe”( obbiettivo 13). Sembrerebbe una scatola vuota di buone intenzioni, se non fosse che la politica fa capolino in una clamorosa omissione: nei 22 prolissi paragrafi del documento mai è nominata la riduzione del danno, l’unica strategia che per l’appunto ha già prodotto “significativi e calcolabili risultati”, a cominciare dalla prevenzione dell’Hiv. L’unica che fino ad oggi si è avvalsa di metodologie scientifiche per una valutazione degli interventi sulla base dei costi e benefici, mettendo da parte le ideologie. Come dunque prendere sul serio il piano d’azione quando propone di “stabilire un sistema di monitoraggio (…) e di valutazione dei programmi di intervento…”(obbiettivo 4)? Soprattutto quando ci si rifiuta di “monitorare e valutare” le politiche fin qui messe in atto. Anzi. Nel preambolo del piano d’azione si ribadisce la necessità “di un approccio globale e bilanciato che comprenda sia la riduzione della domanda che quella dell’offerta (la proibizione e la repressione, per intendersi), ciascuna a sostegno e rafforzamento dell’altra”. Eppure, se mai ce ne fosse bisogno, il fallimento delle strategie di riduzione dell’offerta è candidamente sancito nel rapporto ufficiale della stessa 42 sessione della Commissione delle Nazioni Unite. Nel capitolo dedicato al “traffico delle droghe illecite” si dice: “E’ accertato che l’offerta di oppiacei, cocaina e cannabis sui mercati illegali è stabilizzata, sebbene a livelli elevati, mentre sta aumentando in tutto il mondo la disponibilità di stimolanti di tipo anfetaminico”. E ancora: “Se la domanda di entrambe le droghe (leggi eroina e cocaina) continuasse a rimanere stabile nelle aree tradizionali di consumo e ad aumentare in altre aree, come l’Africa e il sud est dell’Asia, ciò si ripercuoterebbe in un sostanziale aumento delle coltivazioni illecite (…)” (par.88). Come se non bastasse, sgomenta il lettore l’incredibile impalcatura burocratica prevista nel piano d’azione: per ogni obbiettivo gli apparati Onu si ritagliano su misura un ruolo specifico, soprattutto di produzione cartacea (es. raccogliere i rapporti nazionali da cui ricavare ogni due anni un nuovo rapporto internazionale da presentare alla Commissione e così via). Dalle droghe mi guardo io. E dai burocrati?