Gli orientamenti ispirati alla “riduzione del danno” (…) respingono come irraggiungibile l’obiettivo spesso dichiarato della creazione di una “società libera dalla droga”, sottolineando invece la necessità di mettere a punto politiche che riconoscano la presenza dell’uso di droghe psicoattive virtualmente in tutte le società e cercando di ridurre al minimo i danni che ne conseguono. Viene tracciata una distinzione netta tra abuso e uso controllato di droghe. Le nozioni ispirate alla “tolleranza zero” sono considerate antitetiche alla salute pubblica, alle libertà civili e ai diritti umani, nonché inutilmente onerose per il sistema penale. I consumatori di droghe illecite sono visti non come animali, demoni o traditori, ma come esseri umani che usano droghe e talvolta ne abusano. Gli interventi non mirano a isolare i consumatori, ma a integrarli o re-integrarli nel territorio. L’obiettivo prioritario è aumentare al massimo il numero di consumatori in contatto con i servizi di sanità pubblica per fini terapeutici. Le leggi sulla droga sono viste non come un imperativo categorico da applicare indiscriminatamente, ma come uno degli elementi di più ampie politiche sanitarie e sociali basate sul pragmatismo e sull’integrazione.
Gli orientamenti ispirati alla riduzione del danno pongono l’accento sulle seguenti domande: Come possiamo ridurre il rischio che i consumatori contraggano infezioni come l’Hiv, l’epatite B e C, e la tubercolosi, o che vadano incontro a overdose o a pericolosi ascessi? Come possiamo ridurre le probabilità che i consumatori compiano atti criminali, o altri atti indesiderabili, ai danni di terzi? Come possiamo dare ai consumatori più chance di agire responsabilmente verso gli altri, di prendersi cura della propria famiglia, di terminare i propri studi o completare la propria formazione professionale, di lavorare in modo lecito? Come possiamo aumentare le probabilità di riabilitazione per i tossicodipendenti che hanno deciso di cambiare la propria vita? E, più in generale, come possiamo fare in modo che le politiche di controllo sulla droga non provochino ai consumatori ed alla società in genere più danni del consumo stesso?
Quando sono stati formulati questi quesiti, una generazione fa, una delle risposte è stata l’introduzione dei programmi di mantenimento con metadone somministrato per via orale. Introdotta per la prima volta negli Stati Uniti negli anni ‘60, la pratica del mantenimento con metadone è stata poi adottata in dozzine di paesi. L’elemento principale è la fornitura di metadone – un oppiaceo ad azione relativamente lunga – ai consumatori di eroina che non riescono o non sono disposti ad astenersi dal consumo di oppiacei. I programmi di mantenimento con metadone hanno incontrato (e continuano ad incontrare) numerosi ostacoli: l’accusa di tollerare, perpetuare e perdonare la tossicodipendenza, l’imbarazzo per i programmi gestiti con pochi mezzi e presentati sfavorevolmente dai media, e proteste ispirate alla logica “Not In My Backyard” (“non nel mio cortile”) nei quartieri. Nondimeno, la loro efficacia nel ridurre la morbilità, la mortalità ed i reati, e nel favorire la possibilità per i consumatori di avere un’occupazione lecita, migliori condizioni familiari ed un generale miglioramento della vita, è ben nota. Un vasto corpus di evidenze mediche indica che il mantenimento metadonico a lungo termine presenta scarse conseguenze negative per la salute.
Oggi, rispondere ai problemi relativi al consumo di droghe illecite richiede innovazioni pragmatiche paragonabili all’introduzione dei programmi di mantenimento metadonico negli scorsi decenni. Tali risposte comprendono un rapido aumento del numero, della varietà e della qualità dei programmi di mantenimento metadonico; l’abrogazione delle leggi che vietano la vendita e il possesso di siringhe ed altri oggetti riconducibili al consumo (drug paraphernalia laws); l’aumento dei progetti di scambio siringhe; la ricerca e lo sviluppo di programmi di mantenimento con sostanze diverse dal metadone; la riforma della politica sulla cannabis; un approccio tollerante nei confronti di “stanze” dove sia possibile iniettarsi droghe in condizioni di relativa sicurezza sotto supervisione medica; la creazione di organizzazioni che rappresentino gli interessi dei consumatori; l’integrazione tra attività di polizia e programmi di riduzione del danno, ed altre iniziative dirette a ridurre i reati e le malattie. L’ipotesi sottesa è che sia meglio per la società mirare a ridurre i danni e i rischi del consumo, anziché votarsi completamente a liberare la gente dalla droga.
Da: Ethan Nadelmann, Peter Cohen, Ernest Drucker, Ueli Locher, Gerry Stimson and Alex Wodak, “The harm reduction approach to drug control: international progress”, April 1994. Cfr. L’Europa delle droghe, riduzione del danno e politiche delle città, Quaderni di Fuoriluogo, vecchia serie, n. 2.