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Questo è l’ultimo numero di Fuoriluogo, che chiude un’impresa durata oltre dieci anni, frutto di puro impegno volontario: lo diciamo con orgoglio e speranza, in tempi così bui per la politica. Sino da giugno, su queste colonne i nostri lettori e lettrici hanno letto delle difficoltà del giornale. Allora abbiamo appreso che il manifesto non era più in grado di sostenere alcuna spesa, si chiedeva l’autofinanziamento completo. Abbiamo cercato subito di venire incontro alla richiesta economica, soprattutto abbiamo capito che la difficoltà del manifesto – e la nostra dentro quella del manifesto – era un aspetto della crisi profonda di prospettiva della sinistra (sia radicale che riformista). Perciò si è detto che Fuoriluogo era giunto al bivio: o riusciamo a dare un contributo alla ricostruzione di una cultura politica della sinistra su parole chiave quali libertà e legame sociale, autonomia dei singoli e relazioni con l’altro/altra, a partire dai nostri temi storici (e oggi più che mai attuali) del consumo di droghe, della sofferenza psichica, della marginalità sociale; oppure l’esperienza può dirsi finita. O siamo in grado di rilanciare il progetto di Fuoriluogo coinvolgendo più soggetti, gruppi, associazioni nell’impresa di ideazione e gestione del giornale; oppure non ha più senso continuare così, al di sotto della sfida dei tempi.
A questo rilancio stiamo ancora lavorando, raccogliendo adesioni ad una piattaforma politica su cui articolare un nuovo progetto editoriale. Nel frattempo, il manifesto continuerà ad ospitarci con una rubrica settimanale: un’opportunità per mantenere il filo della comunicazione con chi ci ha seguito in tutti questi anni; poi si preciserà il futuro di Fuoriluogo dentro il manifesto. Guardiamo in avanti cercando di reagire alla sconfitta; ma con piena consapevolezza delle dimensioni di quella sconfitta. Dietro il fallimento del governo Prodi è apparso un vuoto di strategia e di idealità, che ha lasciato campo libero all’ideologia neo conservatrice. Ciò è vero in ogni settore, mai così vero però come per le questioni di cui ci occupiamo.
Il governo Prodi non ha abrogato la Fini Giovanardi sotto l’incanto delle sirene del penale, da usare quale segnale di «moralità» contro i consumatori di droghe; le stesse sirene che hanno ispirato sindaci di vario colore a riscrivere come problema di «disordine» urbano il disagio e la povertà crescenti nelle nostre città; le stesse ancora che hanno ispirato una campagna stampa truffaldina contro l’indulto dipinto come lassismo. Si potrebbe continuare ancora. Ridotto al nocciolo (doloroso): il ceto politico di centro sinistra saluta oggi come «innovazione» il relitto ideologico della tolleranza zero: incapaci, da bravi parvenu, di guardare oltre il naso al panorama d’oltreoceano che cambia. Il movimento per i diritti, garantista e libertario cui si rivolgeva anche il nostro giornale si è insabbiato, senza più referenti politici. Per le droghe, si rischia addirittura l’afasia, mentre si avvicinano scadenze importanti. Il governo prepara la prossima Conferenza nazionale sulle droghe a Trieste come occasione di celebrazione della Fini Giovanardi; rafforzata – si vuol far credere – dalle evidenze scientifiche che confermerebbero tutte le droghe illegali come sostanze maledette: il vecchio «spinello brucia-cervello» è di nuovo servito come piatto di nouvelle cuisine.
Ce n’è abbastanza per cercare di resistere. Fuoriluogo è un presidio che non vorremmo perdere. Cari compagni e compagne di viaggio, la strada è lunga. Speriamo di percorrerla ancora