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La XII Conferenza mondiale sull’AIDS tenutasi a Ginevra ha sollevato una questione che, chi come noi opera nel mondo dell’AIDS da diversi anni, ha più volte contrastato, ma che purtroppo si ritrova a rivivere e a subire: la relazione economica che intercorre tra i mezzi di comunicazione e le case farmaceutiche. Questa relazione, di per sé già viziosa, considerando l’importanza dell’autonomia economica come strumento di libertà d’informazione, acquista toni drammatici quando l’informazione si assoggetta al potere economico veicolando notizie false che possono avere ricadute sulla salute pubblica.

Nel corso della Conferenza di Ginevra la quasi totalità dei giornalisti dei quotidiani presenti, hanno partecipato ai lavori a spese delle case farmaceutiche, in particolare della “Glaxo Wellcome” che, essendo tra l’altro la produttrice dell’AZT (il primo farmaco anti-HIV), ha senza dubbio i maggiori interessi nel campo.

Il legame creatosi tra gli inviati e la suddetta casa farmaceutica ha fatto nascere un caso mediatico, ma soprattutto ha causato un fatto sociale dai contorni che possono prendere forme di discriminazione e allarmismo. I principali quotidiani italiani il 30 giugno 1998 hanno aperto le pagine dedicate alla Conferenza di Ginevra con titoli sicuramente di impatto che, in maniera evidentemente diffamatoria, associavano il termine “sieropositivo” al termine “untore”, quasi a far combaciare i due termini in un solo concetto (“La Repubblica”: “AIDS, l’esercito degli untori”, “Il Messaggero”: “Sieropositivi, untori sette su dieci”, “L’Unità”: “Sieropositivo, ma non contagioso”, “Corriere della Sera”: “AIDS, il sesso a rischio non fa più paura”).

Si citava una ricerca presentata a Ginevra, di basso profilo scientifico che non aveva avuto nel corso dei lavori una posizione di rilevanza, con la quale si voleva dimostrare la ridotta percezione di contagio da parte delle persone sieropositive che, per questo, praticavano d’abitudine sesso senza protezioni. Questa ricerca, finanziata dalla “Glaxo Wellcome”, è apparsa a Ginevra solo su uno dei cinquemila poster presenti, ma è comparsa, invece a piena pagina, in maniera però sintetica e con l’esposizione parziale dei dati, solo sul “Medinews”, organo di informazione della casa farmaceutica, dal quale i giornalisti italiani traevano d’abitudine le informazioni per i loro articoli. È evidente che il contenuto del pezzo sul “Medinews” non è mai stato verificato dagli inviati. In caso contrario, sarebbe stato chiaro che i dati forniti dalla “Glaxo Wellcome” in quella pagina erano parziali e non incrociati con altri che rendono questa ricerca in sintonia con altri studi internazionali dimostranti, invece, una presa di responsabilità sempre maggiore delle persone sieropositive. Infatti, un’elaborazione accurata e approfondita della stessa ricerca manifesta che la percezione di rischio di contagio è ridotta solo in coloro che rispondono di non avere rapporti sessuali da diverso tempo o di averne con partner sieropositivi o di praticare sesso sicuro.

La reazione della LILA, Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS, presente a Ginevra con una delegazione, è stata immediata: con un comunicato stampa ha denunciato la creazione di un allarmismo ingiustificato e spiegato l’infondatezza della notizia. Contemporaneamente, il suo presidente nazionale, Vittorio Agnoletto, ha ottenuto un’intervista da “La Repubblica”.

La polemica è continuata nei giorni seguenti, ma nessuna testata si è preoccupata di pubblicare una rettifica. La LILA, in collaborazione con altri attivisti internazionali, ha manifestato contro la “Glaxo Wellcome”, occupando l’area espositiva della casa farmaceutica che, per voce del direttore internazionale delle relazioni pubbliche, si è scusata per l’operato della filiale italiana riconoscendone le responsabilità. Lo stesso Giuseppe Ippolito, coordinatore della sezione dello studio ICONA che ha condotto la ricerca in oggetto, attraverso una lettera ha chiesto ai direttori delle testate di fare chiarezza sulla sua ricerca.

Per quanto sia stata ampiamente dimostrata l’infondatezza della notizia, nessuna rettifica è stata pubblicata e la LILA ha proseguito nelle sue iniziative di denuncia lanciando un altro comunicato stampa e chiedendo l’intervento del Garante per la Radiodiffusione e l’Editoria, della Federazione Nazionale della Stampa (che però hanno comunicato in un secondo momento di non poter intervenire su fatti del genere) e del Consiglio regionale della Lombardia dell’Ordine dei giornalisti con il quale la LILA è riuscita ad avere un incontro. Inoltre, insieme a venti attivisti delle associazioni che aderiscono alla Consulta Romana HIV, ha “invaso” pacificamente la redazione del quotidiano “Il Messaggero” per contestare i toni dell’articolo dal titolo “Sieropositivi, untori sette su dieci”. Il caporedattore degli Interni ha riconosciuto che il contenuto e i titoli del succitato articolo hanno costituito uno “scivolone” della testata e ha pubblicato il giorno successivo l’intervista agli attivisti che, però, si confondeva tra le righe di un altro articolo.

Gli articoli sugli “untori”, tuttavia, hanno continuato a comparire sulle testate italiane. Dapprima “Panorama” ha pubblicato uno stralcio della ricerca ICONA (che peraltro non viene neanche nominata) associando questi dati a un fatto di cronaca; poi “Il Sole 24 Ore”, il 4 ottobre, all’interno di un articolo scriveva “… la percezione del rischio di contagio tra i sieropositivi sembra si sia già molto ridotta e uno studio, condotto proprio in Italia, mostra che oltre il 70% considera bassa o inesistente la probabilità di infettare il partner sessuale”.

Purtroppo, quello che è stato fatto dalla LILA e da altre associazioni non è stato sufficiente a ottenere una rettifica e a vanificare l’effetto dei titoli sugli “untori” che sono apparsi sui quotidiani nazionali.

La pubblicazione di simili notizie, prive di scientificità e totalmente errate, correlate a titoli offensivi e diffamatori, hanno stimolato la creazione di quel clima di discriminazione sociale e di conseguente diffidenza delle persone sieropositive verso le istituzioni pubbliche e sanitarie tipico della prima decade dell’AIDS.

Le associazioni hanno lottato e lottano oggi per combattere tale situazione, ma è evidente che ciò che può la stampa non lo può la verità. L’impegno e il lavoro svolto da anni dalle associazioni che operano nel mondo dell’AIDS vengono distrutti in pochi minuti dagli interessi economici di alcuni, dall’inadempienza di certi giornalisti e dall’irresponsabilità di una stampa che vuole sempre stupire con “sondaggi-choc”. L’impegno della LILA in questa battaglia non ha lo scopo di fare il tiro al bersaglio, ma di denunciare una situazione che si ripropone inalterata negli anni. Da quando l’AIDS ha fatto la sua comparsa in Italia, la sua stessa storia è stata influenzata dai media, nel bene e nel male. Sappiamo che le testate in questione sono state querelate da alcune persone sieropositive che si sentivano offese, ma il nostro obiettivo è quello di andare oltre e aprire un dibattito. La LILA, che da anni opera nel mondo dell’AIDS, non può non essere sensibile al legame che intercorre tra media e sieropositività, tra media e case farmaceutiche.

* Ufficio Stampa LILA Nazionale