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È forte il rischio che la data del 1° dicembre si trasformi in una delle tante ricorrenze giustificate solo dal costante incedere del calendario, con le istituzioni sanitarie e le associazioni quasi “obbligate” a organizzare celebrazioni formali, tra la sempre più vasta indifferenza di gran parte della popolazione e il crescente disinteresse dei media. Sono molti ormai a pensare che “l’AIDS non è più una priorità: ormai c’è una cura, si può guarire”.

Ma purtroppo la realtà non è questa. Infatti:

– le terapie combinate migliorano la qualità e la quantità dell’attesa di vita delle persone sieropositive, ma non cancellano la presenza del virus nel sangue. Questi farmaci possono curare ma non guarire; l’AIDS rimane ancora una malattia a esito infausto;

– benché siano stati raggiunti alcuni risultati importanti sul vaccino anche con i test sulle scimmie realizzati dalla équipe della dottoressa Ensoli dell’Istituto Superiore di Sanità, vi è ancora un lungo e necessario cammino (almeno 4-5 anni) prima che un vaccino per gli esseri umani sia disponibile. Non sfugge a nessuno la “delicatezza etica” di tale sperimentazione, laddove l’efficienza ipotizzata del vaccino potrà essere confermata solo dall’esposizione al virus di persone sane, sieronegative, vaccinate;

– i falsi ottimismi creati sui nuovi farmaci riducono l’attenzione verso la prevenzione, mentre in Italia l’utilizzo del preservativo, l’informazione sessuale e l’educazione sanitaria per moltissimi sono ancora tabù;

– la demagogia e l’opportunismo politico nel campo delle politiche sulle tossicodipendenze e sulla prostituzione hanno travolto quest’estate la possibilità di estendere anche in Italia le strategie di riduzione del danno. Mentre in Svizzera un referendum popolare autorizza a proseguire il progetto di distribuzione terapeutica dell’eroina, in Italia passa un emendamento di Alleanza Nazionale che limita ulteriormente l’utilizzo del metadone; mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità ribadisce che le politiche repressive pregiudicano la prevenzione, in Italia leader di comunità terapeutiche invocano i trattamenti sanitari obbligatori per i tossicodipendenti e i sindaci, multando i clienti, costringono alla clandestinità le ragazze;

– un’ulteriore minaccia ai programmi di prevenzione è costituita dall’eventuale introduzione dei registri di sorveglianza sanitaria delle persone sieropositive e malate di AIDS. La diffusione dell’epidemia deve essere monitorata nel pieno rispetto dell’anonimato e della privacy, mentre urge l’emanazione di nuove leggi che sanzionino quanti discriminano le persone sieropositive;

– le molteplici “cacce all’untore”, come quella lanciata in Italia nel luglio scorso in concomitanza con la Conferenza mondiale di Ginevra, sostenute anche dai mass-media e da una stampa spesso connivente con le case farmaceutiche, pregiudicano, se non azzerano, l’efficacia delle politiche preventive;

– in carcere si continua a morire per la mancanza di terapie, mentre la nuova legge sull’incompatibilità tra AIDS e carcere attende di essere discussa alla Camera e il trasferimento della sanità penitenziaria dal ministero di Grazia e Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale è bloccato da conflitti di interesse e corporativi.

– ma il vero dramma si consuma quotidianamente nel Sud del mondo, ove vive circa il 90% degli oltre 30 milioni di persone sieropositive e ove si verificano ogni giorno 14.000 nuove infezioni (delle 16.000 che si verificano a livello mondiale). Interi continenti non possono utilizzare le terapie anti-HIV perché troppo costose. Dall’Africa all’Asia, ma anche alla più vicina ex Jugoslavia (nel corso di un recente progetto realizzato in Bosnia dalla LILA per conto dell’IOM, International Organisation for Migration, agenzia dell’ONU, si è constatato che sia a Sarajevo che a Banja Luka non è disponibile alcun farmaco anti-HIV), milioni di malati di AIDS muoiono per mancanza di farmaci, dimenticati dal mondo scientifico e dai teatri delle conferenze internazionali, non ultimo quello di Ginevra dello scorso luglio. Per la stessa logica, i G7 e le multinazionali farmaceutiche continuano a negare qualunque contributo economico straordinario per la lotta all’AIDS nel Sud del mondo. Gli unici, seppur timidi, tentativi di solidarietà internazionale sono da attribuirsi di recente all’iniziativa del ministro della Sanità francese che ha coinvolto la Comunità Europea e l’UNAIDS sulla creazione di appositi fondi.

Un’analisi anche sommaria degli argomenti fin qui accennati può aiutare a comprendere come le radicalità delle posizioni assunte dalle ONG di lotta all’AIDS in Italia e in Europa non siano frutto di un estremismo fuori tempo ma dell’unico approccio realistico oggi possibile. Queste sono state le riflessioni presentate il 24 novembre a Bruxelles dai presidenti delle maggiori ONG europee di lotta all’AIDS, attraverso il progetto CHANGE (Coalition of Hiv and AIDS Non Governmental organisations in Europe) coordinato dalla LILA, alle Commissioni Sanità e dei Diritti dell’Uomo del Parlamento europeo. La forte competenza professionale acquisita ci permette di comprendere come oggi non sia possibile né una difesa dei diritti di tipo corporativo e settoriale né un’attività di lobby centrate, ad esempio, sulla specificità della patologia.

Semplificando, è sufficiente ricordare come non sia possibile un diritto alla salute per i malati di AIDS in carcere senza che prima non sia stato profondamente trasformato tutto l’intervento sanitario penitenziario e come egualmente non sia raggiungibile una piena disponibilità terapeutica per le persone sieropositive del Sud del mondo senza una modifica complessiva dei rapporti economici Nord-Sud. È nello scontro con questi dati di realtà che risulta inevitabile la riscoperta della forte politicità di una battaglia per dei diritti che, pur avendo le proprie origini nella specificità di una patologia, riscopre come unico orizzonte possibile l’universalità e come obiettivo ultimo la realizzazione di politiche di “inclusione” sociale finalizzate a uno sviluppo sempre maggiore di “empowerment” dei soggetti oggi destinatari di fiacche politiche assistenziali.

* Presidente LILA