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Tutti i giorni la cronaca ci informa che avvengono incidenti mortali o con esiti di gravi lesioni che vedono protagonisti guidatori in stato di ebbrezza o intossicati dalle sostanze stupefacenti. Ed ogni giorno i cultori della sicurezza (o del terrore?) si stracciano le vesti perché le leggi sono troppo permissive: il ragazzo, rom, che ha ucciso quattro coetanei ha avuto una condanna di soli sei anni ed addirittura è agli arresti domiciliari, con vista mare; i pirati della strada sono scarcerati, gli omicidi volontari vengono derubricati al rango di colposi con pene scarne, i guidatori con patenti ripetutamente ritirate continuano a scorazzare facendo vittime. È un’ecatombe senza precedenti – si dice – che necessita di risposte forti e repressive. La strategia culturale è quella di ridurre i margini di garanzia dello stato di diritto foraggiando nell’opinione pubblica la convinzione che proibire è molto meglio che educare e che le pene devono avere uno scopo di deterrenza piuttosto che rappresentare un’occasione per riprendere, attraverso la consapevolezza e l’elaborazione della colpa, un cammino nella propria comunità. Ma che cosa accade realmente sul piano dei fatti e non dell’enfasi retorica dei media?
Oggi, gli incidenti sono attribuibili, per una quota che oscilla tra il 30 ed il 50%, all’alcol, alle droghe illegali ed alle sostanze psicotrope, nonché ai tranquillanti che la popolazione utilizza grazie alla disinvoltura prescrittiva dei medici. La prima causa di morte nella fascia di età compresa tra i 15 ed i 29 anni è l’incidente della strada per alcol, il 25% dell’intera mortalità in questa età. A questo si deve aggiungere il costo esorbitante dei danni alle persone coinvolte negli incidenti. Ma l’emergenza attuale non è diversa dalla situazione degli ultimi dieci anni. L’unica differenza è rappresentata dal silenzio dei media negli anni scorsi su quanto gli epidemiologi evidenziavano. Vi è dunque il legittimo sospetto che più che risolvere un problema, si voglia cavalcare il dramma per dare forza alla strategia repressivo/sicuritaria, sempre più grottescamente trasversale.
Veniamo alle misure della legge del 3 ottobre (legge 160/2007) sulla sicurezza nella strada. Negli articoli che riguardano alcol e droga viene stabilita per la guida in stato di ebbrezza una gradualità di sanzioni pecuniarie, da 500 a 6000 euro, dalla sospensione, da tre mesi a due anni, alla revoca della patente, fino all’arresto, per un massimo di sei mesi, in funzione del tasso alcolico diviso in tre fasce di gravità; da 0,5 a 0,8; da 0,8 a 1,5; maggiore di 1,5 (grammi per litro). Ulteriore aggravante è l’essere autisti di autobus o di mezzi pesanti. In taluni casi è previsto anche il sequestro del mezzo. In caso d’incidente provocato le sanzioni sono raddoppiate. Se si rifiuta il controllo, il costo va da 2.500 a 12.000 euro con misure di sospensione e revoca della patente ed eventuale sequestro del mezzo. L’intero quadro è completato dalle sanzioni relative all’uso di stupefacenti e di sostanze psicotrope, che non prevedono alcuna gradualità nei consumi, ma l’unico criterio è la presenza o l’assenza di tracce.
Permane dunque l’antico pregiudizio che salva l’alcol e condanna le altre droghe, senza alcun criterio scientifico. Così come le ragioni della scienza sono ignorate nella graduazione delle sanzioni per l’alcol contenuta nel provvedimento: basti pensare che tra 0,1 e 0,5 di alcolemia una falsa sicurezza spinge ad essere più temerari e quindi più pericolosi, con buona pace del legislatore. Il quadro normativo è poi completato dalla responsabilizzazione dei gestori dei locali che devono informare, mettere a disposizione etilometri ed obbedire al divieto di somministrare bevande alcoliche tra le 2 e le 7 del mattino. Contemporaneamente due decreti entrano nel merito della sobrietà nei luoghi di lavoro.
Tutte queste misure non sono in sé proibizioniste, ma per evitare che lo diventino si debbono depenalizzare i consumi nei contesti privati. In concreto si abroghi subito la legge Fini Giovanardi e la legge sulla sicurezza stradale potrà assumere il volto della tutela pubblica della salute, anziché dell’amplificazione delle grida sicuritarie. Anche una minore indulgenza nei confronti dell’alcol potrebbe liberare il campo da un eccesso di stigmatizzazione nei confronti delle altre droghe.