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Qual è la “droga demonio” del giorno negli Stati Uniti? Non il famigerato crack, né la cocaina tanto trendy in Italia, bensì le metanfetamine. L’allarme prende il via dai media, e raggiunge l’apice con la storia di copertina di Newsweek, nell’agosto 2005: ove si racconta la “discesa all’inferno” di una donna di condizioni agiate che diventa dipendente dalle metanfetamine, va in bancarotta per la droga e alla fine finisce in galera perché confezionava le pastiglie nello scantinato. Il titolo del servizio riassume la linea: «Metanfetamine, la droga più pericolosa d’America». Il messaggio (terroristico) è chiaro: se capita ad una madre di famiglia, con bambini, cane, la station wagon in garage e il giardinetto ben curato, allora può capitare davvero a tutti.
All’inizio del 2006, il New York Times (18 feb.) riassume i capisaldi della campagna: «Le metanfetamine sono diventate la prima droga di scelta in tutto il paese: questa sostanza one hit and you’re hooked (una volta sola e ci caschi) è una delle più resistenti al trattamento ed è difficilissimo liberarsene». Questo giudizio apocalittico non è sostanziato da dati ed evidenze, ma da storie di vita estreme e da dichiarazioni ad effetto di singoli personaggi. Come quella di un poliziotto, riportata sempre dal New York Times (23 feb. 2004): «Per capacità additive, le metanfetamine fanno apparire il crack come un gioco da ragazzi». Nella campagna mediatica, ricorre frequente l’accostamento al crack, il flagello degli anni ’80: niente più che noccioline, però, a confronto del flagello degli anni duemila.
Sull’emergenza metanfetamine si è appuntata l’attenzione del Sentencing Project, una organizzazione no profit statunitense impegnata nello studio delle politiche criminali. Nel rapporto del giugno 2006 a cura di Ryan S. King (The next big thing? Methamphetamine in the United States), l’analista del Sentencing Project mette innanzitutto in discussione la “novità” della supposta emergenza.

Le cifre smentiscono l’isteria
Che cosa sono le metanfetamine? Sono stimolanti sintetici che ricordano la struttura molecolare delle anfetamine ma più potenti. Sono usate sotto forma di polvere (ice) o di pastiglie, come le speed King. Se ne conoscono circa 180 varietà, fra cui la famosa Mdma, ovvero l’ecstasy. Svariate forme di speed erano già in uso negli anni ’50, e ancora di più negli anni ’60, e già allora c’era chi le consumava in maniera intensiva.
La particolarità di questa sostanza è appunto nella varietà delle tipologie di consumo e di consumatori. Ci sono gli ice smokers delle Hawai e i fan delle gare automobilistiche che formano una subcultura a sé; ma ci sono anche i ricchi professionisti che si fanno prescrivere gli stimolanti dal loro psichiatra per reggere ai ritmi di lavoro, i giovani che ingoiano le pastiglie per prolungare il divertimento, i guidatori di camion che ne hanno bisogno per guidare la notte.
Una droga versatile dunque, con diverse nicchie di consumo, ma certo non molto diffusa nell’insieme della popolazione. In più, la grande maggioranza di chi usa metanfetamine lo fa poco frequentemente. Secondo i dati della National Survey on Drug use and Health (Nsduh), solo lo 0,2% degli americani risultano consumatori regolari di metanfetamine (intendendo con ciò coloro che dichiarano di aver usato la sostanza nell’ultimo mese). Ciò significa che i consumatori regolari di metanfetamine sono 1/4 di quelli di cocaina, 1/30 di quelli di marijuana, 1/90 di coloro che si ubriacano: davvero un po’ poco per definire le metanfetamine la nuova “droga di scelta” degli americani. Per di più, la prevalenza del consumo appare stabile fra le persone al di sopra dei 12 anni: se nel 1999, anno in cui si cominciano a registrare i dati per questa droga, il tasso di consumatori nell’ultimo mese risulta dello 0,2%, la stessa percentuale si riscontra nel 2004.
Ancora più significativo, per valutare la consistenza della “epidemia”, è il calcolo dei nuovi consumatori. Dal 2002 in poi risultano stabili, intorno ai 300.000 nuovi adepti. Peraltro, non è il numero più alto nella storia recente: nel 1975 si registrarono 400.000 iniziati, il livello record mai raggiunto.
L’andamento delle cifre riflette le ondate di popolarità delle droghe sintetiche: la prima è negli anni ’70, cui segue quella degli anni ’90. Durante questo decennio, i nuovi consumatori raddoppiano, da 164.000 a 344.000, ma senza mai raggiungere i livelli della fine anni ’70 e inizi ’80. Ma non si può parlare di una nuova ondata duemila. Anzi. Dopo il picco di 344.000 nuovi consumatori del 2000, si assiste ad un decremento stabile, fino alla cifra di 318.000 nel 2004.
L’altro indicatore sensibile per le tendenze sono i consumi giovanili. Da questa prospettiva, l’allarme appare ancora più ingiustificato: la prevalenza lifetime fra gli studenti degli ultimi anni delle superiori scende in picchiata, con un abbattimento del 45% (dal 8,2 del 1999 al 4,5 del 2004).
Ma allora, perché i riflettori sono accesi sulle metanfetamine? La lettura della “epidemia” proviene da dati più focalizzati, soprattutto quelli sui sequestri nei laboratori clandestini. Il database della Dea mostra che fra il 1998 e il 2004 il numero dei sequestri è aumentato del 422%, passando da 3.440 a 17.950. Questo repentino aumento è in coincidenza con l’avvio di un programma federale diretto a individuare i laboratori clandestini di metanfetamine, con uno stanziamento di oltre 385 milioni di dollari da distribuire a pioggia. Dunque, il fenomeno è conseguenza dell’aumentata repressione piuttosto che dell’aumentata produzione. Così, il sistema dei finanziamenti mirati all’“emergenza” rafforza la percezione della diffusione della droga su cui si focalizza l’azione di polizia: così facendo, l’emergenza si autoriconferma.

Prima fu il crack
Forse però ha poco senso disquisire sulle metanfetamine in particolare, più importante è capire come e perché si crea il drug scare, l’allarme-droga. Su questo concentra l’attenzione lo studioso Craig Reinermann, che nel 1997, insieme a H.G. Levine, ha scritto un saggio sul Crack Scare, di cui il Meth Scare di oggi segue le orme.
Il crack, che da un punto di vista farmacologico è la stessa cosa della polvere di cocaina ma sotto forma di sostanza da fumare, divenne una questione nazionale all’improvviso verso la metà degli anni ’80. Nel 1986, Newsweek scrisse che «l’uso del crack era un’epidemia, alla stregua della peste nel Medioevo». Perfino il New York Times sbatteva in prima pagina il crack, la droga «che dilaga nelle città americane dal centro alle periferie». Da notare che nel 1986 nessuno aveva ancora calcolato la prevalenza dell’uso di crack. Quando nel 1987 si cominciò a rilevare il dato, si scoprì che meno del 5% dell’intera popolazione l’aveva provato.
Ciononostante, le ricadute del crack scare furono pesanti e lo sono ancora: allora fu introdotta una legge che punisce il crack  assai più severamente della cocaina. Grazie a questa è finito in carcere un numero enorme di persone povere e di colore. La paura passa, ma le leggi repressive rimangono. Oggi già si parla di leggi speciali per combattere le metanfetamine.
L’altro pilastro del “terrore” è la rappresentazione della sostanza come “uncinante” fin dalla prima volta. Nel 1989, lo stesso Newsweek, che aveva dipinto il crack come la peste del secolo, ammetteva che «la maggioranza dei consumatori di crack non diventa dipendente», ma che era meglio dire il contrario «per difendere i giovani». Quindici anni dopo siamo allo stesso punto, guardando al Montana Meth Project, un programma di prevenzione da diversi milioni di dollari con una campagna aggressiva di spot televisivi e radiofonici atti a illustrare le deleterie conseguenze delle metamfetamine, dai denti che vanno in malora, ai comportamenti criminali, fino alla violenza sessuale. Il titolo della campagna “Meth, neppure una volta” parla da sé.
Nessuno si è preoccupato di verificare l’efficacia di questa forma di prevenzione, come al solito. Pare dunque che la campagna miri a rafforzare la percezione dell’emergenza, più che a ridurre i consumi. David Musto, nel suo libro The American Disease: origins of narcotic control, scrive che c’è un filo che unisce le diverse epoche della proibizione, dall’era dell’oppio alla fine dell’800, a quella della cocaina agli inizi del ’900, alla marijuana verso la metà dello stesso secolo: la costruzione di un clima di paura per convincere l’opinione pubblica della necessità di proibire queste sostanze, rappresentate come una minaccia all’ordine sociale. L’allarme metamfetamine riconferma questa tesi.