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Per cominciare, un po’ di contesto. Ripensiamoci. Fini lancia la sua legge, ormai in dirittura di arrivo, e con l’aria di chi sa quello che dice, riferisce scandalizzato che una sentenza aveva considerato uso personale la detenzione di 300 dosi di stupefacente, una provvista per un viaggio non breve (proprio un viaggio, non un trip). Fini diceva: è arrivata l’ora di fare finire questi affronti: ora basta! Passa qualche giorno e anche Berlusconi dice la sua: tranquilli, quello che conta è colpire lo spaccio, se uno va in vacanza e si porta con sé 200 spinelli, buona vacanza e amici come prima. Questa questione delle quantità di stupefacenti, della soglia, cioè, che, una volta superata, fa scattare “il penale”, fa pensare alla “novella dello stento, che dura tanto tempo e non finisce mai”. È vero che la novella potrebbe finire o essere già finita in questi giorni, ma certo dura tanto. Salvo errore sono passati quasi cinque mesi dalla presentazione dello stralcio Fini-Giovanardi. Per la verità, per quanto ne so, lo stralcio era accompagnato dalle tabelle con la indicazione delle quantità-soglia relative ad ogni sostanza. Cominciò evidentemente a venire qualche dubbio e a circolare un po’ di vergogna: forse si osava troppo. Dose massima di propaganda Il tempo stringeva e allora arriva l’idea brillante: pensiamoci su, lo dirà, a comodo, il ministro della salute con proprio decreto, di concerto col ministro della Giustizia (una garanzia), sentita la presidenza del Consiglio dei ministri (un’altra garanzia, anche se il discorso dei 200 spinelli andrà un po’ rivisto). Disgraziatamente il ministro della salute si dimette, per altre ragioni, l’interim è per Berlusconi, che ha un mucchio da fare. Ma perché ci pensano tanto? Un’ipotesi ragionevole è che all’inizio, con le tabelle allegate allo stralcio Fini-Giovanardi, si volesse ristabilire, con qualche aggiornamento, la dose media giornaliera pre-referendum, ma ora, che il lancio è stato fatto e può avere pagato qualcosa in termini elettorali, anche perché presentato come «l’aumento delle pene agli spacciatori» (come titolava Repubblica, esemplarmente disinformata), va fatto un calcolo, non sulle sostanze, ma sull’effetto propaganda: cioè, quale è la quantità che non guasta il lancio propagandistico precedente. Dovrebbe decidere Berlusconi: non c’è che da sperare nel suo progetto vacanze coi 200 spinelli. Però, sicuramente dirà che è stato frainteso. E la Costituzione? Non c’hanno pensato: come si dice, poco elegantemente, non gliene po’ fregà de meno. Eppure annotiamo qualche aspetto. La giurisprudenza costituzionale afferma che l’esito referendario, che, nel nostro caso, escludeva la punibilità dell’uso e della detenzione per l’uso degli stupefacenti, modificando la legge del ‘90, non può essere ignorato ristabilendo un sistema analogo a quello della legge modificata, come questa legge intende fare, al di là di tutti gli equlibrismi già fatti e ancora da fare. Ancora Costituzione, art. 25, comma 2: «Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso». Ora, quando il comma 1bis del nuovo testo dell’art. 73 del Dpr 309/90 sarà completato con il decreto del ministro della sanità sarà questo che stabilirà la soglia di quantità di sostanza, oltre la quale si determina il reato. La definizione del reato è operata dal ministro della sanità con suo decreto e non dal Parlamento con legge: c’è incostituzionalità, più che manifesta, incredibile. E dovrebbe essere considerato un problema costituzionale anche la proporzione della pena al fatto. Il comma 5 dell’art. 73 prevede che, nei casi di “lieve entità”, la pena è da 1 a 6 anni anziché da 6 a 20 anni. Orbene, come ha rilevato Franco Maisto nell’ultimo numero di Fuoriluogo, per effetto dell’art. 3 della legge Cirielli, questa pena ridotta non varrà per i recidivi, che pure sono numerosi tra i tossicodipendenti, come è ben noto anche agli autori della Fini-Giovanardi, che, all’art. 4vicies, hanno disposto l’agevolazione dell’applicazione delle norme sulla continuazione proprio perché è noto che i tossici incorrono ripetutamente in violazioni della legge. Quindi, se recidivi, anche se il fatto è “di lieve entità”, la pena sarà da 6 a 10 anni, qualunque sia la sostanza detenuta, ovviamente. Dose minima di Costituzione e ragionevolezza Questa legge ha però una caratteristica, anche se non si concreta in specifiche violazioni costituzionali: ignora il criterio della ragionevolezza, criterio cui fa spesso ricorso la giurisprudenza costituzionale. Quando si rileva che si torna a punire la semplice detenzione per l’uso o lo stesso uso tout court, il duo Fini-Giovanardi risponde: ma no, per la detenzione per l’uso ci sono solo sanzioni amministrative. Oltre la bugia – sopra la soglia da stabilire si risponderà penalmente – si dimentica che l’applicazione delle sanzioni amministrative è fisiologicamente priva di serie garanzie di difesa, presenti in un processo penale (le sanzioni amministrative non sono paterni scappellotti, ma sono un cattivo sistema per fare entrare nel girone degli stigmatizzati). Il prefetto agisce come autorità, non come organo di giustizia e la opposizione davanti al giudice di pace non promette né un controllo, né una effettiva revisione di quanto il prefetto ha deciso. Al comma 9 dell’art. 75 modificato, si chiarisce che la sanzione prefettizia ha effetto dal momento della notifica: l’opposizione, quindi, non ha effetto sospensivo. La legge Fini-Gio (chiamiamola un po’ frivolmente così) non finisce di stupire. Diversamente da quanto accadeva nel più ragionevole testo del ‘90 (che presupponeva la richiesta dell’interessato) è il prefetto, di sua iniziativa, che “invita” l’interessato a sottoporsi al programma tereaputico. E l’invito è un ordine, tanto che l’ordinanza che, insieme alla sanzione, ordina la sottoposizione al programma, è immediatamente esecutiva (vedi ancora il comma 9). Nel testo del ‘90 l’esecuzione del programma, non ordinato dal prefetto, ma richiesto dall’interessato, evitava l’applicazione della sanzione: qui il programma, imposto, si esegue insieme alla sanzione. Tanto per gradire, vi è la duplicazione delle sanzioni amministrative: a quelle del prefetto si aggiungono quelle del questore: cioè di un organo di polizia. Butto là una ipotesi: si ritorna al testo di Pubblica sicurezza del 1931, emendato con la legge del 1956, che attribuiva la competenza ad applicare le misure di prevenzione alla magistratura ordinaria. Per la verità, più che una ipotesi sembra una constatazione. Si noti: la sanzione, come dire, questurizia, si aggiunge, non è alternativa, a quella prefettizia. È assai più tosta di questa: sia perché può arrivare fino a due anni, sia perché limita gravemente la possibilità di movimento della persona, sia perché la violazione delle prescrizioni comporta l’applicazione della pena detentiva dell’arresto da 3 a 18 mesi. Ma perché si applica tale sanzione del questore? La si applica «qualora – vedi comma 1 del nuovo art. 75bis – in relazione alle modalità e alle circostanze dell’uso, dalla condotta di cui al comma 1 dell’art. 75 (cioè, quella sanzionata dal prefetto) possa derivare pericolo per la sicurezza pubblica». Cosa vuol dire? Che veda un po’ il questore: applichi le sanzioni quando crede. In ogni sistema sanzionatorio normale vale la regola che deve esserci la tipizzazione delle trasgressione e delle sanzioni. Per i tossici o simili, se ne può fare a meno. Mi fermo qui: la ricerca del peggio prosegue e sarà sicuramente fruttuosa.