Tempo di lettura: 4 minuti

Da qualche anno si moltiplicano pubblicazioni, seminari, convegni sul tema della doppia diagnosi. Non esiste incontro tra specialisti, tanto nel campo della tossicodipendenza quanto in quello della psichiatria che non preveda almeno una comunicazione sull’argomento. Ma più che un invito alla collaborazione tra psichiatria e servizi per la tossicodipendenza sembra spesso, per lo meno nella pratica quotidiana, un terreno di scontro! In effetti i pazienti ai quali viene assegnata questa etichetta possono essere considerati gli harquis dei nostri servizi. Per un lettore non francese che non ha conosciuto direttamente il dramma della guerra d’indipendenza dell’Algeria, gli harquis sono gli algerini che collaborarono con i francesi durante la guerra di liberazione e che una volta firmati gli accordi di Ginevra si trovarono a dovere vivere isolati, poiché rifiutati sia dai loro connazionali che dai francesi i quali non riuscivano a distinguerli dagli arabi contro i quali avevano combattuto!
Inserita nella nosografia psichiatrica ufficiale, la tossicodipendenza ha sempre dato alla psichiatria più di un motivo di “irritazione”. Oltre a non adattarsi ai sistemi di cura che questi servizi propongono (farmacoterapia, psicoterapia, attività riabilitative), i tossicodipendenti hanno messo in evidenza le fragilità dell’edificio nosografico tradizionale basato sulle strutture patologiche della personalità obbligando la psichiatria a ripiegare su un assetto di tipo descrittivo che si vuole privo di qualsiasi a priori teorico. In realtà rimanda all’idea che ad ogni quadro elencato e descritto debba corrispondere inevitabilmente un’alterazione, una fragilità o una vulnerabilità biologica o genetica, specifica. I Sert per conto loro, dopo essere riusciti in qualche modo a dare una risposta anche ai “doppiadiagnosi”, i casi più difficili, sicuramente aiutati in questo dal trattamento metadonico e da un approccio integrato, si ritrovano degli ospiti ingombranti e difficili da gestire e dai quali non riescono più a liberarsi!
La prima delle due diagnosi suggerita dall’etichetta doppia-diagnosi riguarda quindi la dipendenza da sostanze di cui il Dsm (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, il manuale di riferimento dell’Associazione psichiatrica americana, ndr) offre una descrizione puntigliosa e sicuramente di grande utilità, sebbene nessun operatore abbia mai avuto bisogno di ricorrervi per sentirsi autorizzato a firmare una tale diagnosi. La seconda in teoria potrebbe essere qualsiasi altra diagnosi psichiatrica, in realtà si limita ai disturbi di personalità, ognuno dei quali corredato da un ricco elenco di sintomi di cui si deve calcolare la frequenza di apparizione nell’ultimo periodo, giorno, settimana, mese. Per cui il medico nel momento della diagnosi si trova a fare come il confessore quando con la sua domanda che ha spaventato generazioni di adolescenti – “quante volte figliolo?” – concede maggiore importanza alla frequenza del peccato che alla ricerca dei motivi che hanno spinto il penitente a commetterlo!
Pretendere di misurare la gravità ed il significato di un sintomo sulla sua frequenza potrebbe effettivamente essere trattato con un certo umorismo, se non fosse per il fatto che un tale sistema descrittivo suggerisce l’idea pericolosa secondo cui, come lo abbiamo appena ricordato, ad ogni elemento corrisponde una causa sinaptica, mediatoriale, genetica, come la si voglia immaginare la quale, sebbene sia sicuramente in parte vero, elude l’esigenza di prendere in considerazione la sofferenza umana come una condizione generale che va compresa ed affrontata globalmente. Le due “diagnosi” sono solamente alcune delle diverse espressioni che può assumere la sofferenza anche se possono complicarsi a vicenda o se il ricorso alla sostanza rappresenta a volte un tentativo di risposta alle difficoltà di stabilire rapporti adeguati con gli altri.
Questa reificazione della sofferenza umana oltre a favorire delle risposte parziali ed inefficaci nei confronti di situazioni così sfaccettate e complesse, favorisce la tendenza da parte dei servizi, già effettivamente oberati di lavoro, a sminuire il problema di propria competenza e ad esaltare quello di competenza dell’altro servizio. Aquesto gioco, naturalmente il Sert è perdente poiché è difficile negare una condizione di dipendenza a chi si prescrive del metadone, al quale per altro il paziente stesso non vuole rinunciare. Diversamente non è raro incontrare psichiatri chiamati a consulenza diventare confessori particolarmente distratti nella conta dei peccati, pur di evitare una diagnosi che li impegnerebbe!
Intendiamoci, non vogliamo negare la dimensione fisica o somatica che si può nascondere dietro certi comportamenti, nemmeno negare che certi comportamenti “antisociali” possono derivare da processi patologici e meno ancora che è difficile per un servizio che sia di psichiatria o di tossicodipendenza, immaginare programmi a lungo termine per tali pazienti. Estremamente adeguati nel trovare soluzioni immediate a certi problemi, questi portatori di disturbi di personalità si dimostrano generalmente completamente incapaci di valutare le conseguenze a lungo termine delle loro azioni e ciò rende difficile immaginare forme di protezione che possano essere loro utili ed accettate.
A Livorno nella realtà in cui operiamo, tra Sert e psichiatria abbiamo concordato un protocollo di collaborazione per questi casi. Siamo riusciti a farlo perché, sulla base di una cultura comune, abbiamo volutamente saltato di pari passo il problema categoriale per accettare di sottoscrivere l’impegno da parte di ognuno dei due servizi di rispondere, per valutarla ed eventualmente criticarla, ad ogni richiesta dell’altro qualora il primo dovesse ritenere che un paziente abbia bisogno di un aiuto supplementare e di concordare allora un programma specifico che coinvolga entrambi i servizi!
Non è limitandoci a ricomporre seppure in modo sofisticato e puntiglioso dei quadri comportamentali con la speranza di abbinarci il serotoninergico giusto che potremmo rispondere ai bisogni di questi pazienti, tutt’al più potremmo fare felici qualche casa farmaceutica alla ricerca di una fascia di mercato per una nuova molecola! Dobbiamo ripensare l’organizzazione e l’operatività dei nostri servizi, tanto quelle della psichiatria che quelle delle dipendenze. I nostri servizi sono animati da culture, da logiche, da modalità operative a volte molto diverse l’uno dall’altro ma tale diversità può essere una ricchezza, se rispettandosi reciprocamente, riescono ad attivare un confronto costruttivo alla ricerca di approcci innovativi per pazienti il cui avvicinamento alle droghe ha indubbiamente cambiato le problematiche.