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Nonostante gli avvoltoi e altri uccelli del malaugurio, per il presidente Obama il 2009 si chiude con successo. Dopo la vittoria epocale per la sanità, ha vinto un’altra battaglia, forse altrettanto importante e di sicuro non meno controversa – seppur fuori dai riflettori mediatici: dopo ventuno anni, il Senato ha tolto definitivamente il divieto al finanziamento federale dello scambio siringhe per i consumatori di droga per via iniettiva; due giorni fa, lo stesso Obama, annunciando la fine del divieto di ingresso nel paese alle persone con Aids – anch’esso in vigore da venti anni- ha detto che il suo paese vuole diventare un leader mondiale nella lotta all’Hiv.
Per avere un’idea della portata storica del voto al Senato: vent’anni fa l’infezione Hiv si stava diffondendo in maniera esponenziale tramite gli aghi infetti e  già si sapeva che distribuire siringhe sterili era la sola forma efficace di prevenzione. Da qui negli anni ottanta è partita nel Nord Europa la cosiddetta riduzione del danno, per dare priorità alla tutela della vita sulla “lotta alla droga”. Negli stessi anni, l’America reaganiana della war on drugs imboccava la via opposta e metteva al bando lo scambio siringhe. Le centinaia di migliaia di persone infettate sono da annoverare fra le vittime della “guerra alla droga”: vittime di tutto il mondo, non solo americane, perché gli Stati Uniti hanno usato la loro influenza per imporre la linea “dura” a livello mondiale, con pesanti pressioni anche sulle Nazioni Unite. Perfino l’ultimo documento  Onu di indirizzo delle politiche globali, approvato a Vienna agli inizi del 2009, non reca traccia del termine “riduzione del danno”, grazie all’opposizione  determinante dei rappresentanti americani. E’ stata l’ultima imboscata perpetrata da un manipolo di  burocrati “giapponesi”, nelle more del passaggio di consegne all’amministrazione Obama.
Due mesi dopo, lo zar fresco di nomina, Gill Kerlikowske, in un’intervista allo Wall Street Journal, decretava la fine della war on drugs: “Hai voglia a spiegare alla gente che la guerra alla droga è una guerra al prodotto e non alle persone – ragionava lo zar – le persone la vivono come una guerra contro di loro. Ma in questo paese non facciamo guerra alle persone”.
C’è dello understatement nelle sue parole: la guerra alla droga è “vissuta” come una guerra alle persone perché è una guerra alle persone. Come ben sanno quei contadini sudamericani costretti ad abbandonare i campi bombardati dai pesticidi (che notoriamente non distinguono fra piante ed esseri viventi, fra coltivazioni legali e illegali); così come lo sanno le centinaia di migliaia di consumatori, di marijuana soprattutto, che ogni anno entrano nelle prigioni statunitensi per il solo fatto di usare droga.
Eppure la svolta simbolica c’è stata e il cambiamento è venuto di conseguenza, a tutti i livelli. Dopo trentacinque anni, lo stato di New York ha eliminato le famigerate Rockfeller drug laws che imponevano lunghe carcerazioni anche per i reati minori di droga. Subito dopo si è avverata un’altra promessa elettorale di Obama. Il dipartimento di Giustizia ha posto fine ai raid della polizia federale contro i medici e i pazienti che usano la canapa ad uso medico negli stati dove questo è consentito. Infine, il regalo di fine d’anno col via libera alla prevenzione dell’Aids.
Adesso, l’Amministrazione sta lavorando per superare la disparità di trattamento penale fra i reati per il crack e quelli per la cocaina. Le norme più dure per il crack non hanno alcuna giustificazione se non quella di colpire la minoranza afroamericana, dove il crack è più diffuso.
Le droghe devono diventare un problema di salute pubblica, non solo di giustizia penale: questa la sintesi del new deal americano per le droghe. Una linea di (prudente) riforma che la maggioranza dei paesi europei ha imboccato da tempo. Così come l’assistenza sanitaria per tutti, introdotta con tanta fatica da Obama, è stata in Europa la prima pietra del welfare, molto tempo fa. Per l’America liberista e puritana, ambedue le riforme sono oggi un approdo storico. L’influsso sul resto del mondo comincia a farsi sentire. In agosto, il vicino Messico ha depenalizzato l’uso personale di droga e lo stesso hanno decretato per la marijuana i giudici della Corte Suprema in Argentina. Per la politica delle droghe, il 2009 di Obama ha gettato i semi della pace.