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Conviene non far passare sotto silenzio la polemica aperta dal sottosegretario Giovanardi contro Giuseppe Bortone, della Cgil nazionale, e contro Forum Droghe, attorno al test antidroga sui lavoratori di alcune categorie (articoli su Il Manifesto  del 21 e 27 luglio 2010). Perché è questione di civiltà, perché tocca  molti  lavoratori, molti di noi e perché riguarda la sicurezza di tutti.  Bortone, commentando i dati relativi agli esiti dei test presentati dal Dipartimento governativo antidroga nella Relazione annuale al Parlamento, riproponeva una questione – tante volte sollevata negli anni addietro, anche con il centrosinistra, che sintetizzo così:  i test, per essere  utili a prevenire danni correlati allo stato di alterazione dei lavoratori durante lo svolgimento delle loro mansioni, devono verificare a) che davvero il lavoratore abbia assunto  la sostanza subito prima o durante il lavoro, e  pertanto b) che sia  in uno stato di alterazione  tale da compromettere  funzionalità, capacità e attenzione ed esporre   al rischio la sicurezza altrui e propria.  In assenza di questa doppia verifica – alterazione  al momento e disfunzionalità correlata – i test non solo non tutelano pragmaticamente nessuno, ma finiscono con il punire  non un comportamento irresponsabile bensì uno stile di vita del lavoratore. E i dati governativi danno ragione in modo inequivocabile a questa osservazione critica, quando dicono che il 64% di chi è risultato positivo (l’1,2% dei testati) lo è alla cannabis, una sostanza  i cui metaboliti sono rintracciabili nell’organismo anche 30 giorni e più dopo l’assunzione.  Dunque, con le attuali metodiche di accertamento,  si impone un cambiamento di mansione – con possibile perdita di reddito e ruolo, e stigma sociale annessi – a lavoratori che possono aver assunto cannabis il sabato sera, averla “smaltita” dopo poche ore, ed essere al lavoro il lunedì mattina in piena  responsabilità. Facendo il parallelo con una droga legale,  è come se un lavoratore brindasse a prosecco per il battesimo del figlio il sabato e andasse al lavoro il lunedì.  Per capirci, stando sull’esempio: l’attuale normativa non richiede lucidità sul lavoro, impone di essere astemi. E non è la stessa cosa.
Giovanardi dice tre cose: siamo ideologici, parliamo contro le evidenze scientifiche e siamo irresponsabili, non ci curiamo della sicurezza altrui (che è anche la nostra). Ideologici? Ormai, nell’orgia ideologica – quella sì – della tolleranza zero curarsi di alcuni diritti di base, come quello del rispetto della sfera privata, del lavoro o anche “solo” dell’essere penalizzati per condotte effettivamente e non ipoteticamente messe in atto, appare gesto sovversivo, “aberrante assioma”, per dirla con Giovanardi. Lo scontro è tra la mitezza di chi invoca un minimo rispetto del diritto  e l’arroganza di chi impone etiche di stato e addita nemici pubblici. Evidenze scientifiche? I critici più radicali appartengono al mondo di chi studia e opera nel settore, perché a loro è noto come un’assunzione sporadica non sia una dipendenza, un test rivela l’assunzione ma non il suo momento, un’assunzione di sostanze diverse da parte di persone  diverse in momenti  diversi ha bisogno, per essere valutata nei suoi effetti, di qualcosa di più di un metabolita. Le reiterate affermazioni governative, anche in testi ufficiali, della totale equiparazione tra consumo sporadico e/o controllato e dipendenza, gridano vendetta alla scienza, al buon senso, all’esperienza. Siamo irresponsabili?  Noi, che ci occupiamo di salute pubblica, affermiamo che la strategia repressiva e punitiva è la meno efficace per prevenire qualsiasi danno, sanitario o sociale, e che il fallimento di decenni di war on drug è, quello sì, “evidente”. Si previene in alleanza  e non contro i lavoratori (e i consumatori), perché  come ogni operatore sa, la consapevolezza e l’attivazione in prima persona  dei soggetti coinvolti  è il solo strumento efficace che abbiamo. Per farlo – controlli inclusi, laddove opportuno – vanno rispettati davvero criteri di scientificità e insieme un giusto (e costituzionale) bilanciamento tra  sicurezza e diritti individuali. Siamo molto lontani, oggi, da tutto questo.