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La notizia è una di quelle che qualche tempo fa sarebbe apparsa sulla rubrica della Settimana Enigmistica “Incredibile ma vero”. L’Azienda Sanitaria Locale di Milano 1 ha chiamato Andrea Muccioli a fare l’arbitro sulla qualità dei servizi delle dipendenze, come consulente esterno alla rispettabile cifra di trecentomila euro l’anno. La decisione è stata finora bloccata anche per la protesta della maggior parte delle comunità terapeutiche della Lombardia, dovuta ad almeno tre validi motivi: è una scelta calata, come al solito, dall’alto, senza alcun rispetto per le competenze esistenti; la Regione continua a fare ricorso, in un periodo di ripetuti richiami al risparmio, a nuove e discutibili consulenze esterne; Muccioli, che dovrebbe stabilire le “regole del gioco” si è sempre detto contrario a ogni forma di sistema pubblico di accreditamento. Sarebbe come chiedere a una società immobiliare di giudicare il piano edilizio di un Comune.
Tuttavia appare un po’ riduttivo attribuire la responsabilità di questa decisione alla fantasia un po’ capziosa dei vertici della Asl: in Lombardia, sul piano della sanità, non si muove foglia che il presidente Roberto Formigoni non voglia, seguendo lo slogan “più società e meno Stato” (coniato da Comunione e Liberazione alla fine degli anni Ottanta). L’architrave di questo disegno poggia sul principio di “sussidiarietà competitiva”, un insieme di ideologia neoliberale e di corporativismo, modello che oggi appare però corroso dall’interno.
L’azione di corrosione è simile a quella descritta in maniera efficace da Naomi Klein in “Shock Economy”: la distribuzione dei fondi a cascata porta infatti con sé la mancanza di ascolto, la cristallizzazione dei bisogni, i favori agli amici. In questa luce, lo scambio non puramente lessicale di don Verzé delle favelas con le fazendas o la nomina di Andrea Muccioli come consulente non sono incidenti di percorso, ma il sintomo di un potere in fase di crisi se non di implosione.
La stessa giunta regionale afferma oggi di voler cambiare registro, passando dal sistema dell’offerta di servizi a quello della “domanda”. Ma la centralità della domanda è selettiva verso il basso: chi ha risorse può chiedere mentre la parte più vulnerabile della società spesso non è in grado di farlo. In tal modo si cancella ogni forma di welfare universalistico.
Al contrario, in tempi di risorse scarse, il welfare deve in primo luogo salvaguardare i diritti essenziali e, solo in secondo luogo, incentivare la sussidiarietà complementare. Alla politica tocca il compito di saper ascoltare, al sociale quello di tornare a essere protagonista del cambiamento, come lo furono tra l’Ottocento e il Novecento le società di mutuo soccorso, le cooperative e le organizzazioni sindacali. In altri termini, occorre superare l’idea del sociale come puro erogatore di prestazioni e ancella un po’ servile del potere. In questa prospettiva, il vero segnale che viene dalla vicenda del tentativo di nomina di Andrea Muccioli è che una buona parte del sociale delle dipendenze non ci sta a subire le decisioni di un potere sempre più autoreferenziale. La trasformazione del sociale e della politica è destinata ad innestare un nuovo rapporto reciproco, dentro una dimensione di sano conflitto, di convinta partecipazione, di utile confronto.