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La Corte Costituzionale torna a pronunciarsi sulla legge sugli stupefacenti a due anni di distanza dalla nota sentenza 32/2014 che aveva sancito l’incostituzionalità di alcuni degli interventi normativi effettuati con la Legge  49 del 2006, la famigerata Fini-Giovanardi.

Segnatamente con l’intervento del 2014 la Consulta sanciva l’illegittimità di quelle norme che avevano parificato il trattamento della cessione a terzi (e di svariate altre condotte) di droghe leggere e pesanti innalzando verso l’alto il relativo trattamento sanzionatorio.

Per effetto di tale sentenza si è resuscitato l’art. 73, I e IV comma della legge Jervolino- Vassalli del 1990 e pertanto si applica una pena con limiti edittali da 2 a 6 anni e multa da euro 5.164 a 77.488 (in luogo di una norma dichiarata incostituzionale che prevedeva la pena da sei a venti anni e la multa da euro 26.000 a 260.000).

Con la recente sentenza, la 94 del 2016, ancora redatta dal giudice Marta Cartabia, viene a essere rimossa dal nostro ordinamento un’altra norma introdotta nel 2006 ovvero l’art. 75 bis del DPR 309/90 il quale stabiliva un inasprimento delle sanzioni amministrative per l’uso personale di stupefacenti. Infatti si prevedeva la possibilità da parte del Questore, previa convalida da parte del Giudice di pace competente per territorio, di irrogare a quei consumatori, la cui condotta configurasse un pericolo per la sicurezza pubblica e che avessero riportato condanne anche non definitive per reati contro la persona, il patrimonio, sugli stupefacenti, di violazione di norme sulla circolazione stradale o destinatari di misure di sicurezza o di prevenzione o fossero già stati sanzionati per uso personale ai sensi dell’art. 75, una gamma di sanzioni solo nominalmente amministrative ma che si traducevanono in realtà in provvedimenti fortemente limitativi della libertà personale.

Tali possono definirsi l’obbligo di presentarsi almeno due volte alla settimana presso una sede di polizia, l’obbligo di rientrare presso la propria abitazione o altro luogo di dimora entro una certa ora e non uscirne prima di un’altra, il divieto di frequentare alcuni locali pubblici, il divieto di allontanarsi dal Comune di residenza, l’obbligo di comparire in uffici di polizia in orari prefissati, il divieto di condurre qualsiasi veicolo a motore. Una gamma di misure che riproduceva un misto tra misure cautelari, misure di sicurezza e prescrizioni tipiche di misure alternative alla detenzione.

La violazione di tali sanzioni amministrative, la cui durata poteva estendersi fino a due anni, comportava l’arresto da 3 a 18 mesi.

L’intero articolo 75 bis è stato ritenuto incostituzionale e scompare dal nostro ordinamento sempre sulla base delle considerazioni che la Corte Costituzionale aveva sviluppato con la sentenza 32/2014 ovvero la disomogeneità delle disposizioni introdotte dall’art. 4 quater, oggetto del presente giudizio, con la legge di conversione, rispetto al testo dell’art. 4 dell’originario decreto legge che conteneva norme di natura processuale, attinenti alle modalità di esecuzione della pena, il cui fine era quello di non interrompere programmi di recupero dalla tossicodipendenza, mentre le norme censurate introducevano anche modifiche di carattere sostanziale senza alcuna attinenza alle finalità di recupero della tossicodipendenza, realizzandosi una violazione dell’art.77 secondo comma della  Costituzione per difetto del requisito dell’omogeneità tra le norme dell’originario decreto legge e quelle introdotte in sede di conversione.

Un giudizio che cancella una norma afflittiva e che va salutato positivamente e che dovrebbe spingere la politica, il governo e il parlamento, a mettere all’ordine del giorno la riforma della legge sulle droghe.