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economist.jpgIl mondo gira e noi con ello“: antico detto sempre valido per indicare radicali cambiamenti antropologici, socio-culturali, ideologici e politici, ora lenti ora più rapidi. Scorrete, per esempio, su The Economist del 23 febbraio – un giornale cioè legato al mondo dell’alta finanza – il lungo articolo intitolato “Smorzando la guerra alle droghe – Verso un cessate il fuoco“. Una delle figure mostra come in meno di un ventennio (1995-2012) sia più che raddoppiata la percentuale dei cittadini statunitensi che sono favorevoli sia alla legalizzazione della cannabis che a quella del matrimonio tra persone dello stesso sesso, essendo i due andamenti perfettamente sovrapponibili. Chi l’avrebbe mai previsto?
L’articolo non contiene grandi novità rispetto alle molte indagini e prese di posizione di cui si è qui ripetutamente parlato – quelle della Global Commission di Kofi Annan et al.; quelle della campagna Count the Cost (questa, per incidens, ha di recente diffuso aggiornamento sui terrificanti costi umani ed economici della guerra alle droghe); ecc. Tuttavia il lucido e minuzioso stile lo rende particolarmente utile in questo difficile momento, in cui le forze opposte si fronteggiano in sur place in vista dello scontro finale, cioè quello che dovrà prima o poi avvenire alle Nazioni Unite per un cambio radicale della convenzione internazionale proibizionista. Dopo aver ricordato la dimensione del fatturato del narcotraffico (almeno 300 miliardi di dollari all’anno, ovviamente esentasse e oramai indispensabili all’economia legale attraverso il riciclaggio e i paradisi fiscali), l’Economist commenta: “Se gli sforzi mirati a contenere la domanda sono stati futili, i tentativi di controllare le forniture sono stati disastrosi… Le mafie delle droghe corrompono e distruggono i luoghi dove esse operano… Solo le zone di guerra sono più violente rispetto per esempio all’Honduras: 7.000 dei suoi 8 milioni di cittadini vengono assassinati ogni anno, a fronte di 6.000 omicidi nell’intera popolazione europea di 500 milioni….” (Si pensi a che impressione ci farebbe se apprendessimo che nella sola Svizzera – stesso numero di abitanti dell’Honduras, all’incirca – ci sono più omicidi che in tutta l’Europa messa insieme). E potremmo aggiungere: gli sviluppi più recenti in quei Paesi africani che sono diventati il crocevia mondiale delle droghe da Ovest e da Est, dimostrano che a tali devastazioni non può esserci un limite con le politiche attuali.
L”articolo da qui cautamente passa ai sintomi e segni di un allentamento della spinta alla guerra alle droghe, con una serie ben scelta di esempi a carattere più o meno locale e più o meno istituzionale. Negli ultraproibizionisti USA, a Denver, città di oltre 600.000 abitanti capitale del Colorado (oltre 5 milioni di abitanti – si tratta di cifre praticamente identiche a quelle rispettivamente di Palermo e di tutta la Sicilia), c’è una zona ormai nota come Broadsterdam. Prossima a una delle principali arterie della città (Broadway), è sede di numerose botteghe dai nomi spesso fantasiosi, come Ganja Gourmet ed Evergreen Apothecary. Qui i residenti in possesso di una “tessera rossa”, rilasciata dietro raccomandazione medica, possono scegliere tra diverse dozzine di diversi ceppi di cannabis, snacks, infusi e vari aggeggi utili al consumo: proprio come uno va dal vinaio, o al negozio di articoli per fumatori, a scegliersi il nettare preferito, il trinciato e la pipa che più gli gustano. Questo e tanti altri analoghi cambiamenti stanno avvenendo – commenta asciutto l’Economist – poichè “…la guerra alle droghe è stata convincentemente vinta dalle droghe”. Da quando l’ONU nel 1998 ha proclamato “Un mondo libero da droghe: possiamo farcela” (ma veramente anche uno solo dei responsabili può averci creduto?!?), i consumi di cannabis e di cocaina sono aumentati del 50%, quelli di oppiacei sono addirittura triplicati, innumerevoli nuovi psicostimolanti e allucinogeni sintetici sono stati sfornati in tutto il mondo e “fanno vorticosamente girare le teste in sconcertanti nuovi modi”: per un totale di 230 milioni di assuntori (stima ONU 2010). Quasi metà dei carcerati USA stanno dentro per reati di droga: come da noi, apparentemente; ma da loro i ristretti sono circa 2.200.000, cioè circa 35 volte più dei nostri per una popolazione superiore di poco più di 5 volte.
Ma ormai sono 18 (più la capitale Washington) gli stati in cui la cannabis medica è stata legalizzata, mentre gli stati dove è già stata votata la legalizzazione tout court si preparano al braccio di ferro con le autorità federali, arroccate sugli ukaze proibizionisti della convenzione internazionale (Obama, Obama! presto anche per te il gallo canterà la terza volta). E il cerchio si stringe sempre di più: con le robuste prese di posizione di diversi stati latino-americani, ormai alla canna del gas per i problemi creati dalla guerra alla droga; con la vittoria della Bolivia di Morales, che ha ottenuto di legalizzare a certe condizioni la produzione, la vendita e il consumo della foglia di coca. (Anche se certi gravi problemi, ovviamente, non si risolvono dalla sera alla mattina: rispetto alle 18.000 tonnellate di foglia boliviana che passano per il mercato legale, 30.000 vanno ancora per vie illegali ai produttori e trafficanti di pasta e di polvere).
Passando allo scenario europeo, l’Economist sottolinea come la parziale legalizzazione della cannabis in Olanda – purtroppo con i recenti parziali intoppi – si stia esportando in vari modi: con il successo dei cannabis social club in Ispagna; con le politiche di cura, assistenza, e risocializzazione adottate in Portogallo de-escalando la repressione; con altri graduali cambiamenti sui quali in questa sede si è ripetutamente riferito (ultimo il nostro decreto per la cannabis terapeutica). Certo non possiamo farci illusioni, questo scontro contro la barbarie della guerra alla droga durerà ancora lungo, comporterà ancora pesanti costi umani e socio-economici: ma finalmente si ingrossano le file degli oppositori, senza distinzione tra i diversi schieramenti, si restringe lo spazio per i sostenitori oltranzisti di politiche ormai più che decotte.