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Mancava in parlamento in questa legislatura un testo che superasse l’attuale regime proibizionista in tema di droghe leggere. Si tratta peraltro stesso testo presentato nelle precedenti legislature dai deputati verdi Franco Corleone prima e Marco Boato poi e che aveva avuto il sostegno di numerosi deputati. Secondo i parlamentari democratici, che citano uno studio del prof. Marco Rossi pubblicato su Fuoriluogo, la legalizzazione dei derivati della cannabis potrebbero portare benefici all’erario per  oltre 5,5 miliardi di euro all’anno. Una manna dal cielo, di questi tempi.

Riportiamo la relazione che accompagna il testo di legge (che potete scaricare da qui)

Il testo del presente disegno di legge aveva trovato un consenso diffuso nella XII e nella XIII legislatura. 156 deputati nella XII e 120 nella XIII, appartenenti a schieramenti politici diversi, avevano firmato la proposta di legge a prima firma dell’onorevole Franco Corleone. La stessa proposta, con il medesimo testo e spirito non ideologico, era stata presentata nella XIV e XIV legislatura dall’onorevole Marco Boato. Dal 1995 ad oggi, la possibilità di un confronto pragmatico ed equilibrato in Parlamento è stata resa vana dall’ostruzionismo manifestato dalle posizioni più estreme e proibizionistiche, seppure nel Paese il tema della legalizzazione dei derivati della cannabis indica abbia acquisito consensi sempre più vasti. Al di là di una impostazione ideologica, importanti riflessioni scientifiche e proposte concrete, hanno posto l’accento sulle esperienze e sulle scelte compiute in questi anni in Europa, sia sotto il profilo legislativo, sia in fase sperimentale ed oggi con risultati consolidati per quel che riguarda i programmi e le politiche di riduzione del danno. Nel corso degli anni Novanta non pochi sono stati i progressi compiuti dal dibattito nella società italiana e negli orientamenti dell’opinione pubblica. Il successo, nel 1993, del referendum abrogativo delle norme penali del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, ha dimostrato che la scelta repressiva, ispiratrice di quel testo, deve lasciare spazio ad una visione più pragmatica che privilegi un approccio di riduzione del danno. Tale consapevolezza, tuttavia, non ha avuto un approdo legislativo coerente con i risultati del referendum.

Oggi la situazione è ancora più difficile perché la nuova legge approvata con un colpo di mano nel 2006, oltre a rivendicare una svolta di 180 gradi nella politica sulle droghe in senso repressivo, ha cancellato la differenza tra le diverse sostanze, mettendo in una unica tabella droghe pesanti e droghe leggere. Il risultato è che le carceri sono piene non solo di tossicodipendenti ma anche di consumatori condannati per detenzione di pochi spinelli o per la coltivazione di una piantina di canapa.
Occorre far valere di nuovo, a distanza di molti anni dal referendum, la capacità pragmatica di valutare i termini effettivi, anche e in primo luogo sotto il profilo giuridico e legislativo, delle politiche di riduzione del danno e, in quest’ambito, della legalizzazione dei derivati della cannabis indica, senza, appunto, pregiudizi, come è stato proposto tanti anni or sono, dagli appelli ad una più incisiva politica di riduzione del danno e ad una sostanziale distinzione, sotto il profilo legislativo, dei derivati della cannabis indica dalle altre sostanze stupefacenti. Appelli sottoscritti da autorevoli esponenti della cultura, della società civile, del volontariato e da operatori delle strutture pubbliche, fra i quali si vuole ricordare, a testimonianza della possibilità di un approccio laico a questioni complesse che richiedono equilibrio e capacità di innovazione, il senatore a vita, ora scomparso, Paolo Emilio Taviani, firmatario di un appello al Parlamento promosso da Franco Corleone e Luigi Manconi e sottoscritto, fra gli altri, da Michele Salvati, Antonio Tabucchi, Umberto Veronesi, in cui fra l’altro si affermava che «la legalizzazione delle cosiddette “droghe leggere“ è opportuna non solo perché la valutazione delle conseguenze connesse al loro consumo non dovrebbe interessare il diritto penale (se non nei casi in cui il consumo, appunto, nuocesse ad altri)» e che «l’uso della cannabis non viene vietato in quanto pericoloso, ma è pericoloso proprio in quanto vietato». Nel corso di questi anni la logica penale ha aggravato e pesantemente condizionato la realtà del nostro Paese e reso ancora più difficile un diverso ed equilibrato approccio ai problemi delle tossicodipendenze, in generale, e alla realtà del consumo delle sostanze illegali. I dati relativi alla sfera penale sono nel contempo drammatici e indicativi. In Italia come in Europa il 50 per cento dei detenuti è in carcere per reati connessi al consumo di sostanze stupefacenti. L’Europa, con l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (OEDT), ha da tempo sollecitato i Paesi europei a misure positive di riduzione del danno, sulla base anche delle esperienze ormai diffuse e consolidate: dalla Svizzera all’Olanda, dalla Germania alla Spagna, dal Belgio al Portogallo. Di contro in Italia l’approccio penale deprime e rende complesso il ruolo delle strutture pubbliche, come dimostrano i dati contenuti nelle relazioni annuali al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze, e limita la possibilità di attuazione di progetti sperimentali di riduzione del danno.
Recentemente l’associazione «Forum Droghe» ha curato l’edizione italiana del volume: «Dopo la war on drug». Un piano per la regolamentazione legale delle droghe, un testo elaborato dalla Fondazione inglese Transform impegnata da anni sul terreno della politica di riforma delle droghe. Il lavoro presenta una serie di opzioni pratiche e concrete per la creazione di un sistema normativo globale per tutte le sostanze psicoattive ad uso non medico, tracciando chiaramente un percorso di superamento della proibizione definita dalle Convenzioni delle Nazioni Unite. Sono molte le voci che ormai certificano il fallimento della war on drugs come testimonia il documento della Commissione latino-americana su droghe e democrazia, un organismo di esperti promosso dagli ex Presidenti Cardoso del Brasile, Gaviria della Colombia e Zedillo del Messico che chiedono un cambio di paradigma; un altro documento fondamentale è quello di questo anno della Global Commission on drug policy presieduta dall’ex Segreteraio delle Nazioni Unite Kofi Annan, che chiede una scelta a favore della legalizzazione.
Non va trascurato neppure il costo fiscale del proibizionismo. Recenti contributi teorici sostengono la superiorità degli strumenti fiscali per contenere il consumo di droghe rispetto alla applicazione di una normativa proibizionista. In Italia il consumo di tabacchi ed alcolici è appunto scoraggiato tramite l’imposizione di una elevata tassazione. Uno studio del professor Marco Rossi dell’Università La Sapienza di Roma, stima le imposte ricavate sulla vendita della cannabis in 5,5 miliardi l’anno.
L’articolo 1 del disegno di legge, che propone la presente di legalizzazione della distribuzione delle droghe leggere, stabilisce le condizioni generali attraverso cui si ritiene possibile attuare il passaggio da un impianto di tipo proibizionistico ad un impianto di tipo legale della distribuzione delle droghe cosiddette «leggere». Si ritiene adeguata allo scopo una norma che consenta, in deroga alle previsioni dei titoli III, IV, V e VI del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, la coltivazione a fini di commercio, l’acquisto, la produzione e la vendita di cannabis indica e dei prodotti da essa derivati che formano l’oggetto della proposta in esame. Restano ferme le normative repressive del traffico internazionale e clandestino di droghe, oggetto della gran parte delle convenzioni internazionali in materia di droghe. Si è ritenuto, in particolare, di accedere ad un regime autorizzativo non solo della vendita, ma anche della coltivazione e del commercio al fine di superare le perplessità che un regime di monopolio di Stato destava, sia in termini di principi – in ordine alle funzioni proprie dello Stato in questa delicata materia – sia con riguardo alla difficoltà pratica di mettere in opera una produzione statale di droghe «leggere». D’altra parte, la soluzione proposta consente anche di accentuare le caratteristiche di una fase necessariamente di transizione e sperimentale, che deve vivere di una ulteriore sedimentazione di una cultura diffusa in ordine alla tollerabilità del consumo di droghe «leggere». Il comma 2 dell’articolo 1 rinvia a un decreto del Presidente della Repubblica la disciplina delle autorizzazioni e dei controlli. Il decreto è adottato previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentite le competenti Commissioni parlamentari e le regioni. Al decreto è affidata la determinazione delle caratteristiche dei prodotti destinati alla vendita al dettaglio, della tipologia degli esercizi autorizzati alla vendita e della loro distribuzione sul territorio, nonché dei locali pubblici in cui è consentito il consumo delle sostanze. Gli ultimi due commi dell’articolo 1 stabiliscono le norme di pubblicità negativa sulle confezioni di prodotto destinate alla vendita al minuto e il divieto di vendita ai minori di anni sedici. L’articolo 2 fissa le sanzioni penali e la revoca della autorizzazione per chi violi il divieto di vendita ai minori di sedici anni, ovvero consenta agli stessi il consumo all’interno dei propri locali. L’articolo 3, nel definire la non punibilità della coltivazione per uso personale di cannabis indica e della cessione a terzi di piccoli quantitativi destinati al consumo immediato, ribadisce la vigenza delle norme di cui all’articolo 73 del citato testo unico per chi coltivi, acquisti, produca o venda le sostanze in oggetto essendo sprovvisto delle autorizzazioni necessarie. L’articolo 4 stabilisce il divieto di propaganda pubblicitaria diretta o indiretta della cannabis indica o dei prodotti da essa derivati e le relative sanzioni, fatte salve le opere dell’ingegno non destinate alla pubblicità e tutelate dalla legge sul diritto d’autore. L’articolo 5, infine, stabilisce che il Presidente del Consiglio dei ministri presenti una relazione annuale sullo stato di attuazione della legge e sui suoi effetti, fissandone alcuni parametri di valutazione legati al consumo, alle sue caratteristiche, al rapporto tra consumo di droghe « leggere » e altre droghe, all’eventuale persistenza del mercato clandestino delle sostanze in oggetto e agli accordi eventualmente conclusi in sede internazionale con i Paesi produttori di cannabis indica.