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Alcuni anniversari offrono l’occasione per celebrare, altri per riflettere, altri ancora per agire. Il prossimo giugno segnerà i quarant’anni della guerra alla droga dichiarata  dal presidente Nixon quando indicò l’abuso di droga come il nemico numero uno. Non sono previste celebrazioni, che io sappia. C’è invece bisogno, ed è essenziale, di riflessione e di azione.
E’ difficile credere che gli Americani abbiano speso all’incirca mille miliardi di dollari in questa guerra quarantennale. E’ difficile credere che decine di milioni di persone siano state arrestate (e molti milioni rinchiusi in prigione) per aver commesso atti non violenti che cent’anni fa non erano neppure reati. E’ difficile credere che il numero delle persone incarcerate per accuse di droga sia aumentato più di dieci volte anche se la popolazione del paese è cresciuta di solo la metà. E’difficile credere che milioni di Americani siano stati privati del diritto di voto non perché hanno ucciso una persona o hanno tradito il loro paese ma semplicemente perché hanno comprato, venduto, prodotto o semplicemente detenuto una pianta o un prodotto chimico psicoattivo. Ed è difficile credere che centinaia di migliaia di Americani siano stati lasciati morire – di overdose, di Aids, di epatite o di altre malattie – perché la guerra alla droga ha bloccato, o perfino proibito, di trattare la dipendenza da alcune droghe come un problema di salute piuttosto che una questione criminale.
Dobbiamo riflettere sulle conseguenze di questa guerra anche all’estero. In Messico, il crimine legato alla proibizione, la violenza e la corruzione assomigliano alla Chicago durante la proibizione dell’alcol. Alcune parti dell’America Centrale sono anche più fuori controllo, e molte nazioni dei Caraibi possono solo sperare che il prossimo turno non capiti a loro. I mercati illegali dell’oppio e dell’eroina in Afghanistan ammontano a una cifra da un terzo alla metà del prodotto interno lordo del paese. In Africa, i profitti della proibizione, il traffico e la corruzione si stanno espandendo rapidamente. Quanto al Sud America e all’Asia, basta scegliere un momento o un paese e le storie si rassomigliano tutte – dalla Colombia, al Perù, al Paraguay e il Brasile al Pakistan, il Laos e Burma e la Tailandia.
Non c’è miglior modo di ricordare il quarantesimo anniversario della guerra alla droga che rompendo i tabù che hanno finora impedito una franca valutazione dei costi e dei fallimenti del proibizionismo così come l’esame delle diverse alternative. La guerra alla droga continua in buona parte perché chi tiene i cordoni della borsa concentra la sua attenzione critica solo sull’attuazione della strategia piuttosto che sulla strategia in sé.
La Drug Policy Alliance e i suoi alleati vogliono spezzare questa tradizione di negazione e trasformare l’anniversario in un anno di azione. Il nostro obiettivo è ambizioso: creare la massa critica per un’occasione di riforma in grado di vincere l’inerzia che troppo a lungo ha sostenuto le politiche proibizioniste. Cinque sono i temi da far emergere.
1. La legalizzazione della marijuana non è più una questione di se ma di quando. Nel 2005 secondo il sondaggio Gallup il 36% degli Americani era a favore della legalizzazione del consumo di marijuana e il 60% contrario. Alla fine del 2010 i favorevoli erano saliti al 46% e i contrari erano scesi al 50%. La maggioranza dei cittadini in un numero crescente di stati ci dice che regolamentare legalmente la marijuana è più ragionevole che continuare nella proibizione.
2. La sovracarcerazione  è il problema, non la soluzione. Gli Stati Uniti sono i primi nel mondo per l’incarcerazione sia in termini assoluti che per tasso pro capite: questo è un primato vergognoso di cui il paese dovrebbe liberarsi in fretta. Il miglior modo per risolvere la sovracarcerazione è ridurre il numero delle persone imprigionate per reati di droga non violenti: decriminalizzando (e in ultimo legalizzando) la marijuana; offrendo alternative alla detenzione per coloro che non rappresentano alcuna minaccia fuori dal carcere; e insistendo sul fatto che nessuno può essere incarcerato semplicemente per possesso di una sostanza psicoattiva senza recare danno alcuno ad altri.
3. La guerra alla droga è il nuovo razzismo. Negli Stati Uniti la sproporzione razziale nella repressione per droga è grottesca: gli Afroamericani hanno in enorme misura maggiori probabilità di essere arrestati, perseguiti e incarcerati degli altri Americani coinvolti nelle stesse violazioni delle leggi antidroga.
4. Non si deve più permettere alla politica di  avere la meglio sulla scienza e l’umanità, sul senso comune e sulla prudenza fiscale quando si tratta di droghe illegali. Ci sono evidenze schiaccianti che è molto più efficace e meno dispendioso trattare la dipendenza e l’abuso di droga come una questione di salute piuttosto che di giustizia criminale.
Infine, la legalizzazione deve stare sul tavolo. Non perché è necessariamente la soluzione migliore. Non perché è l’alternativa ovvia all’evidente fallimento della proibizione. Ma per tre importanti ragioni: in primo luogo, è il miglior modo di ridurre drasticamente il crimine, la violenza, la corruzione e gli altri costi e conseguenze dannose della proibizione; in secondo luogo, perché nel regolamentare ci sono altrettante opzioni (anzi, di più) che nel proibire; e terzo, perché mettere la legalizzazione sul tavolo comporta porsi domande fondamentali sul perché sono emerse all’origine  le proibizioni della droga e se sono state o sono veramente essenziali per proteggere le società umane dalle loro vulnerabilità. Insistere perché la legalizzazione stia sul tavolo non è lo stesso che battersi perché tutte le droghe siano trattate come l’alcol e il tabacco. Significa invece chiedere che i precetti e le politiche di proibizione non siano considerati come il vangelo bensì come scelte politiche che meritano una valutazione critica, compreso un confronto obbiettivo con gli approcci non proibizionisti.  
Ecco il nostro piano. A distanza di quarant’anni dalla dichiarazione di Nixon della guerra alla droga vogliamo cogliere quest’anniversario per sollecitare la riflessione e l’azione. Chiediamo a chiunque nutre riserve sulla guerra alla droga di unirsi a noi in questa impresa.

Ethan Nadelmann
Direttore della Drug Policy Alliance