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L’ultima ondata di interesse mediatico nei confronti della cannabis ha fatto seguito alle recenti “scuse” e al ritiro del sostegno alla depenalizzazione della cannabis da parte dell’Independent on Sunday, che dieci anni fa si era schierato a suo favore. Il brusco ed eclatante cambiamento di linea editoriale viene motivato con il fatto che una nuova forma di questa droga, la “skunk”, sarebbe «25 volte più forte della resina in vendita dieci anni fa», e starebbe causando una epidemia di problemi di salute mentale, indotti appunto dalla cannabis, tra i giovani della Gran Bretagna. Il servizio dell’Independent on Sunday ci dà modo di chiarire molti equivoci su questa questione.
Il primo equivoco da chiarire riguarda il termine “skunk”, che non è ben definito né scientifico. In realtà si tratta di un termine generico indicante le infiorescenze (germogli) di cannabis coltivata al chiuso e contraddistinta da un odore forte (spesso, ma non sempre, coltivata usando sistemi di illuminazione ad alta tecnologia e mezzi di coltivazione idroponica).
L’Independent on Sunday lascia intendere che la “skunk” sia una varietà “geneticamente manipolata” della pianta di cannabis, confondendo il processo di coltivazione selettiva per ottenere determinate caratteristiche (in questo caso la potenza), ben noto in tutte le piante coltivate, con la tecnica del gene splicing (unione di geni) tra specie diverse.
Anche la questione della potenza è stata drammatizzata. Negli anni ’60, ’70 e ’80 – così come oggi – sul mercato era disponibile una gamma di prodotti derivati dalla cannabis, sia dall’erba che dalla resina, la cui potenza variava da molto debole a molto forte. Un’indagine di DrugScope ha evidenziato che la maggior parte di quella che oggi viene venduta come “skunk” ha una percentuale di Thc (il principio attivo tetra-idro-cannabinolo) che si aggira intorno al 10%, sebbene occasionalmente circoli una qualità di cannabis contente una percentuale di Thc superiore al 20%. Le varietà più forti sono risultate relativamente rare perché impiegano più tempo a crescere, facendo salire i costi di produzione, ma si vendono allo stesso prezzo di strada.
Mettendo a confronto la cannabis “peggiore” degli anni ’70 e la “migliore” di oggi, si ottiene la cannabis «25 volte più forte» di cui parlano i titoli dei giornali. Ma la potenza “media” dell’erba degli anni ’70 era probabilmente da un terzo fino alla metà della potenza di quasi tutta la canapa attuale.
Ad ogni modo, il vero quadro è più complicato di così. La skunk, di qualunque varietà essa sia, non copre assolutamente l’intero mercato britannico. Una larga fetta di esso è ancora rappresentata dall’erba importata della “vecchia scuola”, di una varietà contenente il
3-4%, mentre una fetta ancora più larga è costituita da una resina di bassa qualità (come la “saponetta”) contenente anch’essa una bassa percentuale di principio attivo. La prevalenza della skunk sta senza dubbio aumentando, ma questo cambiamento è determinato dall’economia del mercato illegale (fa aumentare i profitti), piuttosto che dalla domanda dei consumatori. Perciò sarebbe altrettanto facile, e fuorviante, dimostrare come la potente cannabis di dieci o vent’anni fa fosse molto più forte della resina di bassa qualità ancora ampiamente in circolazione oggi. Dipende da come i dati vengono presentati.
L’idea che ai vecchi tempi la cannabis fosse leggera e innocua, e che ora si sia trasformata in una nuova droga super-pesante e minacciosa capace di portare rovina e miseria nel paese, non corrisponde al vero, essendo una semplificazione eccessiva ed una montatura giornalistica.
Questo tipo di montatura ha una storia lunga che può essere ripercorsa all’indietro fino ad arrivare ai film degli anni ’30 in stile “reefer madness”. Verso la fine degli anni ’80, negli Usa si diffuse un panico quasi identico e fuorviante sulla potenza della canapa, quando nel 1986 un flyer per una conferenza nazionale sulla marijuana proclamò: «Ora percepita come una droga pesante, dal 1970 la marijuana è aumentata di potenza del 1.400%» (Mikuyira & Aldrich, 1988).
In effetti l’esperienza britannica è molto simile a quella degli Usa, dove le affermazioni perentorie del governo sui drammatici aumenti di potenza non trovano conferma negli stessi dati governativi, dai quali risultano dei cambiamenti più contenuti e meno scioccanti.
C’è poi la questione, ampiamente ignorata, di come la cannabis, più o meno forte, viene usata. Il dottor Robin Murray sull’Independent on Sunday paragona il rapporto tra l’erba di una volta e l’erba attuale a quello tra la birra e il whisky. Ma le persone non bevono pinte di whisky. Se una droga è più forte ne consumano meno, se è più leggera ne consumano di più, per raggiungere il livello di intossicazione desiderato. Nel caso della cannabis più forte, i consumatori ne metteranno meno nello spinello, daranno meno boccate, aspireranno meno profondamente, fumeranno meno spinelli e così via.
L’idea che i consumatori di cannabis non siano in grado di prendere decisioni razionali sul dosaggio che consumano, o che si procurino un effetto psicoattivo che è venticinque volte quello di dieci anni fa, è insensata. Ciò non significa che una maggiore potenza non corrisponda ad un aumento del rischio: certamente in qualche misura è così, ma i comportamenti si adattano con sorprendente rapidità, e alimentare i timori sulla potenza non ci aiuta a fornire risposte di salute pubblica razionali che possano veramente aiutare a ridurre l’allarme generale. Ad esempio, in Olanda, dove la cannabis è di fatto (anche se non tecnicamente) legale, i rivenditori autorizzati offrono un’ampia gamma di varietà di cannabis di diversa potenza ma, secondo i gestori con cui ho parlato, le qualità più forti sono lungi dall’essere le più richieste.
Insieme ai fraintendimenti sulla skunk, sul mercato della cannabis, sulla sua potenza e sul suo consumo, vi sono stati dei fraintendimenti sui danni che essa causerebbe e, in particolare, sul fatto che le nuove varietà di skunk sarebbero responsabili di una nuova epidemia di problemi di salute mentale: specificamente, la psicosi e la schizofrenia. Potete guardare i libri di testo e i rapporti delle commissioni risalenti agli anni ’20 del Novecento, che documentano sintomi da uso di cannabis notevolmente simili a quelli che abbiamo oggi. Essi dicono che per la maggior parte delle persone i rischi di un consumo occasionale sono bassi (certamente in relazione alla maggior parte delle altre droghe ricreative comunemente usate) ma che un uso pesante, particolarmente per un piccolo sottoinsieme di consumatori con problemi di salute mentale preesistenti o con certe altre fragilità, rischia veramente di esacerbare i problemi esistenti o eventualmente di farne precipitare di nuovi. Tra essi vi sono gli episodi psicotici (occasionali), la schizofrenia e così via. Queste stesse conclusioni sono state raggiunte da innumerevoli studi e ricerche negli ultimi cento anni, compresi, molto recentemente, due studi effettuati dall’Advisory Council on the Misuse of Drugs prima e dopo la riclassificazione della canapa dalla tabella B alla C avvenuta in Gran Bretagna nel 2004.
Ancora una volta, questi studi hanno stabilito che per la maggior parte delle persone i rischi sono minimi, ma che per poche persone essi sono molto concreti, in modo particolare per certi gruppi vulnerabili, e quando sono associati a livelli alti di consumo. Non è una sorpresa che le droghe possano fare male (Advisory Council on the Misuse of Drugs, 2002).

*Transform Drug Policy Foundation. Articolo tratto da: “The cannabis potency question. The call for reform”, Drugs and Alcohol Today, Volume 7, Issue 2, July 2007.