Ross Rebagliati, snowboarder

Ai Giochi Olimpici di Nagano, nel febbraio '98, il canadese Ross Rebagliati aveva preceduto di due centesimi di secondo l'italiano Thomas Prugger e si era messo al collo la medaglia d'oro dello snowboard.

Dopo i controlli antidoping è stato squalificato perché nella pipě del dopo gara erano risultate tracce di THC.

Tracce minime. Diciassette nanogrammi di THC, un miliardesimo di grammo, in un millilitro.

Il caso ha suscitato polemiche. Sia nella commissione medica, che si è divisa: tredici per la raccomandazione a favore della squalifica, dodici contro. Sia nel comitato esecutivo del Cio, il comitato olimpico internazionale, che si è pure spaccato: tre per la punizione, due Ponzio Pilato che si sono astenuti, due i buonisti. La squadra canadese ha presentato appello e, alla fine, la corte speciale del tribunale arbitrale dello sport ha deciso di restituire a Ross la sua medaglia.

«Sono vittima del fumo passivo. Vivo fra i consumatori di cannabis», ha spiegato Ross Rebagliati. «L'ultima volta il 31 gennaio scorso». Una festa dove lo spinello passò di mano in mano. «Non nelle mie». Una ammissione: «L'ultima spinellata nell'aprile del 1997».

Una questione piena di contraddizioni etiche e legali. Il regolamento della Federazione internazionale dello sci ammette una soglia di quindici nanogrammi. Le norme del Cio parificano la sostanza all'alcol e agli anestetizzanti. Divieto assoluto.

«Decisione difficile». Ha ammesso François Carrard direttore del Cio. È il primo caso di spinello olimpico. «Si discute sulle conseguenze derivanti dal consumo di marijuana e le risposte, in sede scientifica e giuridica, sono molto controverse».

Considerare la marijuana come doping appare senza dubbio un eccesso che rischia di trasformare la caccia alle sostanze dopanti (anabolizzanti, epo e dintorni) in una ridicola rincorsa al bersaglio piccolo.

La vicenda ha suscitato parecchi commenti in cui (come spesso accade) il moralismo si sposa con l'ignoranza.

Nessuno degli "esperti" chiamati in ballo ha ricordato che la presenza di THC nelle urine non prova uno stato di intossicazione in atto, ma semplicemente l'aver usato cannabis nel passato. Di conseguenza, l'ipotesi più probabile è che Ross Rebagliati abbia fumato uno spinello non qualche minuto ma qualche giorno o settimana prima della gara. Se così fosse, tutto il disquisire circa gli effetti dello spinello sull'impresa di Ross sarebbe puro vaniloquio.

D'altra parte, i commenti "scandalizzati" erano viziati da una contraddizione di base: se si asseriva che lo spinello non può influire positivamente sulla prestazione sportiva , si doveva ammettere che la punizione per "doping" era, sul piano sportivo, ingiustificata; se si sosteneva, invece, che Ross ha vinto l'oro grazie a una "canna" fumata prima della gara, si doveva rinnegare tutto ciò che è stato sostenuto da decenni dalla propaganda proibizionista: cioè, che gli effetti dello spinello sono deleteri per l'integrità psicofisica di chi lo usa.

E qui sono entrati in gioco i "princìpi".
L'argomento-chiave era che l'attribuzione della medaglia avrebbe dato un "cattivo esempio" ai giovani.

"Qual è la morale che il mondo dello sport invia (...) alla società? Che fumando uno spinello si può diventare campioni olimpionici. Permetteteci di dire che non ne siamo felici" era il commento di un articolo sul Il Corriere dello Sport.

In realtà, come acutamente osservava Giancarlo Arnao nel suo articolo I paradossi dello spinello olimpico:

«Nel convalidare la medaglia, il CIO ha implicitamente considerato l'uso di cannabis ininfluente sulla prestazione sportiva. Se la medaglia fosse stata revocata, sarebbe stato come ammettere che Ross aveva vinto "grazie" allo spinello, attribuendo alla cannabis una proprietà "positiva" che non le appartiene: quella di far diventare più bravi e più veloci coloro che affrontano le discese sulla neve o altre imprese del genere.

Ma, comunque si fosse conclusa, la storia ha il sapore di un beffardo "autogol". Se l'antidoping fosse basato su fattori "tecnico-sportivi", dovrebbe limitarsi a rilevare l'uso di sostanze che possono influire positivamente sulla prestazione sportiva avvantaggiando un concorrente rispetto agli altri. Aver voluto includere la cannabis fra le sostanze proibite, per motivi evidentemente "morali", ha contribuito paradossalmente a dimostrare che questa droga è perfettamente compatibile con la normalità, anzi addirittura con l'eccellenza nell'attività sportiva. Uno sconcertante accostamento fra due categorie che nell'opinione convenzionale apparivano speculari e inconciliabili: quella "patologica" delle droghe e quella "sana" dello sport.»

Un ultima notazione.

Questa vicenda olimpionica ripropone una riflessione sulla pratica del ritiro delle patenti di guida ai soggetti positivi per THC.

Comunque vengano interpretati, i fatti hanno dimostrato che un test positivo per il THC non compromette una prestazione psicofisica altamente impegnativa come quella dello snow-board.

Non si capisce quindi perché in Italia la positività delle urine al THC venga considerata sufficiente per ritirare la patente di guida.