il manifesto
19 marzo 1999

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CONTROCULTURE LA STORIA DELLE RAGIONI CHE LA RAGIONE NON CONOSCE

- PIERLUIGI SULLO -

P ochi giorni fa, Il Giornale di Sicilia ha pubblicato una breve notizia nelle pagine della cronaca palermitana. Era la notizia di un blitz: dopo settimane di indagini e con l'impiego di circa cento uomini della polizia coadiuvati anche da cani poliziotto, si era finalmente fatta piazza pulita in quel tale angolo del centro di Palermo in cui - così si esprimeva il giornale - squatters anarcoidi usavano riunirsi per fumare marijuana. Sei di loro sono stati arrestati, perché trovati in possesso di alcuni grammi di quell'erba vietata.

La notizia era singolare non solo perché, di fatto, in questo modo la polizia dà una gran mano alle cosche mafiose che controllano, angolo per angolo, la città (gli ostacoli alla coltivazione in proprio di cannabis significa che Palermo è inondata di berisha, la pessima marijuana albanese importata appunto dalla mafia), ma anche perché, passati gli anni, i media non cambiano atteggiamento né accumulano conoscenze o cultura. Negli anni sessanta, i primi giovani a ribellarsi al costume afflittivo dell'Italia democristiana, furono subito battezzati capelloni, beatniks e, naturalmente, anarcoidi. Il paese ufficiale rifiutava di capire che un grande mutamento d'epoca s'era avviato, e reagiva con la denigrazione e l'odio. Vi furono casi di ragazzi costretti a tagliarsi i capelli, arrestati per il solo fatto di essere seduti nelle piazze dei centri storici o rispediti a casa loro con il famigerato "foglio di via" (a proposito, che fine ha fatto?).

Il libro di Claudia Salaris e Pablo Echaurren sulla Controcultura in Italia 1967-1977 (Bollati Boringhieri, pp. 222, L. . 38.000) comincia proprio da lì, dall'incapacità dei media, dei politici e dei fabbricanti di opinione dell'epoca anche solo di vedere quel che stava accadendo. E che tra gli incapaci di capire ci fosse anche uno come Pier Paolo Pasolini, che confondeva i poliziotti di Valle Giulia (gli scontri che iniziarono il '68 romano) con i figli del popolo, e i "beat" con i teppisti fascisti, significa che anche la parte migliore della sinistra o era in ritardo o troppo in anticipo (nel senso che la ribellione contro la modernità, questa sì, è un'eredità pasoliniana non ancora sufficientemente messa in valore, oggi che il "progresso" ha, come diceva Flaiano, un grande avvenire dietro le spalle). E nemmeno la sinistra rivoluzionaria sprizzata fuori dalle facoltà occupate e dalle fabbriche in rivolta, nemmeno quella, nel racconto di Salaris ed Echaurren, capiva, ristretta com'era nel mimare le forme e i linguaggi del comunismo del novecento: ed era effettivamente così, anche se dire, come nella quarta di copertina (ma non nel libro), che quelle di "gruppetti e partitini extraparlamentari" erano "forme caricaturali" è un tantino sopra le righe. Perché, se non altro, e a guardare da qui e da oggi, tutto quel che accadeva allora sembra "caricaturale", cioè eccessivo, esagerato, distorto: sia i furori rivoluzionari che gli sberleffi rivoluzionari.

Quel che è forse più vicino al vero, è che la politica "dura" delle organizzazioni dell'estrema sinistra e un'avanguardia fatta di centinaia di riviste, di migliaia di happening concreti, di sperimentazioni di stili di vita e nuovi stati della coscienza, di scardinamento dell'uso delle immagini e di invenzioni musicali, insomma tutto quel che nel libro è raccontato con divertimento e - se non è una parola eccessiva - amore, bene, tutt'e due le cose si meritavano e si appoggiavano a vicenda.

Erano le due metà non conciliate di una rivoluzione - il '68 a suo modo lo è stato - sospesa tra il passato e il futuro, dove il passato non era necessariamente la forma consiliare che prese la rivolta operaia, ad esempio, e il futuro non necessariamente il tentativo incessante di intrecciare arte e vita e ribellione, se è vero che il riferimento alle avanguardie storiche, fosse il dada o il futurismo, era tanto trasparente e ricorrente, sebbene spesso inconsapevole, quanto Salaris e Echaurren fanno opportunamente notare.Caso mai - parlo per fatto personale - la lettura di un libro come questo, così minuzioso e appassionato, provoca un poco di dispiacere: per il fatto che quell'atmosfera, quelle parole usate come bolle colorate, la poesia come l'accanimento nel filmare la normalità della vita di ciascuno, il quasi solitario eroismo dei ragazzi che si facevano crescere i capelli e li mettevano in mostra come provocazioni nelle città di province, tutto questo lo si è respirato, ci ha lasciato l'animo sospeso quando vedevamo quelle piccole scritte, sui muri di Milano - "Re nudo?" - che annunciavano l'uscita delle rivista di Valcarenghi che era più di una rivista, era lo stato d'animo che "i gruppi" avrebbero invano cercato di inseguire con i "festival del proletariato giovanile". Ma non ne capimmo l'importanza decisiva: nel preparare la ribellione, alla metà dei sessanta, e nell'aprirle strade impreviste, nei primi settanta, quando il movimento andò a sbattere come un maremoto sulle strutture, che parevano granitiche, della psichiatria come della giustizia, della psiconalisi come delle relazioni familiari. Una rivista come L'erbavoglio, ad esempio, ne è una prova. In conclusione, stavamo cambiando tutto, tranne quel che credevamo di dover cambiare: la politica, lo stato, il potere.

Resta questo rammarico, sebbene appunto la storia abbia le sue ragioni che la ragione non conosce. Resta anche il rammarico - da lettori - per il fatto che il libro chiude bruscamente sul '77, anno terribile (e, come dicono i nostri giustamente, profetico), in cui quelle due metà finirono per cozzare violentemente l'una contro l'altra. E resta la domanda: quei ragazzi anarcoidi di Palermo, come decine di migliaia di altri che in giro per il paese fanno l'antiproibizionismo pratico, le riviste cyber o simili, la "controcultura" dei centri sociali ma anche quella dei gruppi per il terzo mondo o di solidarietà internazionale, quelli che trafficano con Internet e così via e così via, altrettanto incompresi e invisibili dei loro colleghi dei sessanta, annunciano qualcosa? E se sì, cosa?


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