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Dal 10 ottobre, TAMPEP il progetto di prevenzione per le prostitute, finanziato dalla Comunità Europea, ha lasciato Bologna perché in totale disaccordo con la scelta del Sindaco di fare una ordinanza per reprimere la prostituzione e limitare la libertà di prostitute e clienti.

La repressione non è certo in sintonia con l’intervento di prevenzione sanitaria e di accoglienza al quale abbiamo dedicato il nostro lavoro.

Al Sindaco avevamo chiesto un periodo di un mese di moratoria nella applicazione della ordinanza e abbiamo proposto di fare un intervento sul campo, con l’obiettivo di ridefinire i luoghi possibili per la prostituzione, attivando una mediazione congiunta con l’Amministrazione nei confronti di cittadini, forze dell’ordine e prostitute/i.

Non c’è stata risposta positiva alla nostra offerta, nessun tentativo di cercare una via d’uscita ragionevole da una scelta che ha accomunato l’Amministrazione di Bologna a quella di Milano (sic!) e che arrogantemente non ha considerato il dissenso ottenuto dagli stessi consiglieri di maggioranza.

Nel 1996 gli operatori di TAMPEP hanno avviato il progetto del Comune di Bologna mettendo la loro esperienza per l’avvio dell’Unità di Strada e la formazione degli operatori bolognesi. In pochi mesi il progetto europeo ha organizzato e strutturato l’intervento che ora si chiama “Moonlight”.

TAMPEP ha continuato a fornire materiali informativi specialistici da distribuire alle prostitute, anche se da qualche mese erano emersi dei disaccordi sul coordinamento e sulla gestione del progetto di Bologna, già si intuiva che il ruolo ritagliato per il progetto rischiava di essere prevalentemente di facciata, infatti l’impegno politico messo dall’Amministrazione nella contrattazione per l’acquisizione di diritti e permessi di soggiorno alle immigrate prostitute vittime della tratta a nostro avviso è stato assai modesto.

Ora l’Amministrazione ha mostrato l’altra faccia di sé: quella schizofrenica, o forse sarebbe più appropriato parlare di patologia elettorale della ricerca del facile consenso, senza tenere in conto dell’investimento, anche economico, fatto con le scelte precedenti.

Investimento economico che in parte coinvolge anche la Regione Emilia-Romagna, la quale ha finanziato con alcune centinaia di milioni i Comuni perché si attivassero con interventi sociali e di riduzione del danno, vorremmo sottolineare come sia uno spreco spendere il denaro per finanziare quei Comuni che hanno adottato strumenti che producono “moltiplicazione del danno”.

Inoltre, per rispetto alle utenti prostitute, che ci sentiamo di rappresentare con la legittimazione che ci deriva dall’essere noi stesse prostitute e aver subìto per anni la medesima repressione ed esclusione, ritiriamo il nostro consenso alle attività sulla prostituzione fatte da questa Amministrazione, per evitare ogni complicità nella bieca strumentalizzazione dove ci si ripara dietro ad un progetto di prevenzione per giustificare la repressione.

Infatti, ora è ben visibile a Bologna, come nelle molte altre città, l’effetto della repressione, decine di donne vengono ogni sera fermate ed espulse, private dei soldi che hanno guadagnato con il loro corpo (a Pisa), rimpatriate senza neppure poter recuperare gli effetti personali e cambiarsi d’abito.

* Coordinatrice di TAMPEP e Segretaria del Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute

Diritti on the road

In seguito alle ordinanze sulla prostituzione emesse da molti sindaci, gli operatori di strada dei progetti che lavorano sulla prostituzione si sono riuniti a Bologna il 27 agosto per analizzare la situazione che si è venuta a creare e studiare delle strategie di intervento per frenare la dissennata escalation criminalizzante e repressiva. L’assemblea ha prodotto il documento che qui proponiamo.

Documento elaborato dall’assemblea degli operatori delle Unità di Strada riunitasi a Bologna il 27 agosto 1998

Le recenti ordinanze dei sindaci, che pretendono di affrontare il fenomeno della prostituzione con multe, super-multe o maxi-multe, usando il codice della strada in senso lombrosiano (solo nei confronti di alcuni cittadini/cittadine) e “a tempo”, solo in determinate ore della giornata, attuando e legalizzando una discriminazione palese, violando la “Legge Merlin”, la Costituzione, ecc., sono abusi di potere che a catena si ingigantiscono e che per fermarsi chiedono leggi sulla prostituzione proibizioniste, illiberali e reazionarie.

Esse rappresentano il dispiegamento, ora anche a livello locale, del metodo di governo della società che da anni ormai si pratica in Italia: la logica dell’emergenza.

Ignorando la reale dinamica del fenomeno e l’esperienza e il sapere di chi da anni lavora con e per le prostitute, la logica emergenziale ha sempre e soltanto una faccia: la repressione. Ma se la pratica repressiva, facendo leva sulle paure e sui pregiudizi di settori più o meno ampi della società, assicura agli Amministratori la raccolta di facili consensi politici, nondimeno ha effetti devastanti sul piano della comprensione del fenomeno, del suo trattamento e della sua giusta collocazione all’interno delle dinamiche sociali.

Innanzitutto, la repressione genera la clandestinizzazione, che a sua volta rafforza l’emergenza e la repressione, che a loro volta spingono a una maggiore clandestinizzazione e così via, in un circolo vizioso di cui le prime e principali vittime sono le prostitute e le cui ricadute negative investono anche la società in generale. Clandestinità significa infatti dominio totale del racket, al quale migliaia di donne immigrate sarebbero consegnate e da cui l’omertà sempre più spietata e rigida impedirebbe di uscire, se non a prezzo di gravi rischi per sé.

Di fatto, la pratica repressiva che queste ordinanze innescano e rafforzano, e che comunque rappresenta una violazione sostanziale della libertà delle persone, non colpisce tanto i clienti – come una chiacchiera di stampo moraleggiante tende ad accreditare -, quanto le donne, già oggetto di tratta. Non a caso, nelle città in cui sono state applicate, il numero di espulsioni e accompagnamenti alla frontiera di straniere è tre volte maggiore di quello dei clienti multati: non sarebbe esagerato parlare di una vera e propria operazione di “pulizia etnica” attuata dagli Amministratori comunali con il coinvolgimento delle forze di polizia, che in alcune città sono addirittura arrivate a sequestrare i preservativi distribuiti dalle unità che operano per la riduzione del danno. Inutile dire che, peraltro, la reale incidenza sul fenomeno di queste ordinanze è praticamente nulla, come è immediatamente rilevabile. Le multe possono forse spostare di qualche chilometro un traffico indesiderato, ma il problema si ripropone con le stesse modalità in un’altra zona o in un altro orario. Invece, la mobilità a cui questa pratica repressiva costringe certamente comporta pesanti conseguenze per gli operatori che lavorano negli interventi sociali di riduzione del danno. Perché tali interventi abbiano esiti positivi è necessario che gli operatori possano contare sulla stanzialità di chi si prostituisce, per poter costruire relazioni durature e fiduciarie. È sulla qualità di queste relazioni che si fonda anche, in particolare, un efficace intervento di prevenzione sanitaria: una persona costretta a una forte mobilità o, peggio ancora, alla fuga non può essere attenta alla informazione, alla prevenzione e alla difesa della propria integrità psicofisica, con evidenti possibili conseguenze negative per la popolazione in generale. Perciò le unità di strada dei progetti di prevenzione socio-sanitaria finalizzati alla riduzione del danno dalle malattie sessualmente trasmissibili si ritrovano adesso in gravi difficoltà. La cosa assume anche aspetti paradossali se si considera che questi progetti sono a volte finanziati dagli stessi Enti che emanano le ordinanze.

E, d’altra parte, contrariamente a quello che molti sindaci proclamano a piena voce, i progetti sono spesso mal finanziati, al di sotto delle reali esigenze o addirittura inesistenti. Né si può pensare, come pure bizzarramente si è fatto, di finanziarli con i proventi delle multe: sarebbe una sorta di corto circuito logico, perché si penserebbe di finanziare l’uscita dalla pratica repressiva, che esige in primo luogo proprio l’attenuazione della repressione, con i proventi della repressione stessa, che quindi dovrebbe essere rafforzata. Noi questi soldi ingiusti non li vogliamo!

La fuoriuscita dalla prostituzione, e comunque la possibilità di praticare un modo corretto per affrontare e risolvere i problemi connessi, può solo avvenire attraverso opportunità reali di regolarizzazione e inserimento sociale, con un processo lento di presa di coscienza sostenuto da interventi qualificati e progetti adeguatamente finanziati, con una reale volontà da parte delle forze di polizia di lotta seria alla tratta e al racket, e non con una politica di repressione indiscriminata che non distingue e che colpisce soprattutto le vittime dello sfruttamento.

Hanno aderito alla iniziativa e ne condividono le motivazioni e i contenuti:

Associazione Magliana 80, Roma (Carla Valeri); Associazione Mimosa, Padova; Associazione On the Road, San Benedetto del Tronto (Vincenzo Castelli); Associazione Orlando, Bologna; Associazione Parsec, Roma; Casa delle Donne per non subire Violenza, Bologna; Centro ALA, Milano; Circolo Mario Mieli, Roma; Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute; Comune di Venezia (Gianfranco Bettin, Cinzia Bragagnolo, Claudio Donadel); Comunità di San Benedetto al Porto, Genova (don Andrea Gallo); Cooperativa CAT, Firenze; Gruppo Abele, Torino (don Luigi Ciotti e l’équipe Unità di Strada); Lega Italiana Lotta all’AIDS; Lega Italiana Lotta all’AIDS, Milano (Toy Racchetti); Movimento d’Identità Transessuale, Bologna; Operatori Unità di Ricerca Servizi Sanitari Cooperazione Internazionale, Trieste (Sofia Quintero); Progetto Cabiria-Arci, Perugia; Progetti europei Europap/Tampep (Licia Brussa); Progetto Tampep, Torino; Progetto Viamica55, Tampep, Novara; SERT di Villafranca, Verona (A. Parolin, C. Smacchia, P. Tommasi, L. Gios, L. Cordioli, C. Arzillo, P. Paon)