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Il fatto è uno, ma vale per la generalità dei detenuti. Se un detenuto parla con un familiare, il “parlare con” si definisce colloquio, e se parla poi con il Garante dei detenuti è un colloquio come gli altri o no? Secondo l’Amministrazione carceraria è un colloquio assoggettato a restrizioni, come se il Garante fosse un congiunto e quindi, potendo il detenuto in regime di carcere duro in 41 bis, fare un solo colloquio al mese (a fronte dei 6 ammessi per i detenuti comuni) deve scegliere tra un congiunto o il Garante.

È stata necessaria una argomentata ed importante ordinanza del 27 giugno 2017 del Giudice Gianfilippi, su reclamo di un detenuto in 41 bis del carcere di Terni, per decidere che non si tratta di un colloquio come altri; che deve essere disapplicata la disposizione ministeriale e che quel detenuto può parlare con il Garante della Regione Umbria, prof. Anastasia che aveva posto inutilmente un quesito al Dap.

Che la legge penitenziaria del 1975 abbia subito tante e tali restrizioni, modificazioni e distorsioni da renderne necessaria una organica revisione, come previsto dall’art. 1, comma 85 della recente legge 23 giugno 2017, n.103, non è un mistero, ma, in attesa dei Decreti, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria dovrebbe avere le risorse intellettuali per armonizzare la normativa vigente rispetto alle disposizioni di rango inferiore. Ma così non è stato. Lo statuto del Garante, per l’istituzione nel nostro ordinamento, è stato perfezionato progressivamente nel tempo.  Il D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, con l’ art. 12-bis, comma 1, lett. a), ha modificato l’art.18 della legge penitenziaria prevedendo che ” I detenuti e gli internati sono ammessi ad avere colloqui e corrispondenza con i congiunti e con altre persone, nonché con il garante dei diritti dei detenuti, anche al fine di compiere atti giuridici.”, e, con la lett.b), ha modificato l’art.67,l-bis) attribuendo ai “garanti dei diritti dei detenuti comunque denominati” il potere ispettivo alla pari di altre autorità istituzionali. Ma l’ art. 2, comma 25, lett. a), L. 15 luglio 2009, n. 94 ha modificato l’art. 41 bis, comma 2-quater, prevedendo ” b) la determinazione dei colloqui nel numero di uno al mese da svolgersi ad intervalli di tempo regolari ed in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti”, laddove si tratta, all’evidenza, di colloqui con i familiari. Peraltro, il comma 2 dell’art.41 bis chiarisce che sono ammesse solo le restrizioni “necessarie per il soddisfacimento delle esigenze di ordine e di sicurezza e per impedire i collegamenti con l’associazione”, ponendo un vincolo funzionale tra prevenzione speciale e restrizioni. Insomma, ogni altra restrizione è sostanzialmente inutile.

Imperterrito nella linea restrittiva, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria trascura il Diritto di reclamo previsto dall’art. 35 o.p., modificato dalla legge 10 del 2014 (“I detenuti e gli internati possono rivolgere istanze o reclami orali o scritti, anche in busta chiusa: al garante nazionale e ai garanti regionali o locali dei diritti dei detenuti”), alla pari di altre autorità istituzionali, come, ad esempio, il magistrato di sorveglianza. È fin troppo ovvio che chi parla con il Garante non effettua un colloquio in senso tecnico, ma espone un reclamo orale.

L’ordinanza del Giudice Gianfilippi deve essere dunque segnalata, non solo per l’acutezza delle argomentazioni, ma anche perché mette a fuoco tre livelli fondamentali per la riforma di un carcere civile e secondo la nostra Costituzione: la tutela dei diritti dei detenuti, il corretto rapporto tra Giurisdizione e Amministrazione, lo statuto attuale dei Garanti dei detenuti.