Tempo di lettura: 3 minuti

marco-perducaNel suo intervento davanti alla plenaria della sessione speciale dell’Assemblea generale sulle droghe, Ungass, il Ministro Andrea Orlando ha affermato che l’approccio delle Nazioni unite “deve essere pragmatico piuttosto che ideologico: orientato ai risultati e che incoraggi gli Stati a promuovere politiche pubbliche motivate dal criterio dell’efficacia piuttosto che dalla demagogia”.

Niente di più condivisibile, ma niente che l’Italia avesse detto all’Onu negli ultimi anni. L’ideologia a cui fa riferimento Orlando è quella del proibizionismo che ritiene gli stupefacenti pericolosi e quindi da vietare, la demagogia è quella che divide la società in “drogati” e persone “normali” e vuole un “mondo libero dalla droga”.

La Ungass dell’aprile scorso si è aperta con l’adozione della dichiarazione di chiusura, un forzatura procedurale che dimostra la frattura tra approcci nazionali e regionali e la scomparsa di un comune sentire. Per non rompere il consenso, e soprattutto il vaso di Pandora che lo contiene, il documento di 24 pagine, ordito da un ristretto gruppo di paesi, ha dovuto tener insieme vuoti proclami di politiche “integrate, olistiche e bilanciate” e timidi accenni a riforme necessarie.

Pur adottato all’unanimità, l’outcome document è stato criticato ufficialmente da molti paesi per la mancata denuncia dell’uso della pena di morte per reati connessi agli stupefacenti e l’assenza di attenzione a contesti in cui si affrontano i problemi nel tentativo di risolverli in base a evidenze scientifiche. Una riunione di così alto livello, dove si adottano le conclusioni in esordio, è sembrata un’offesa all’importanza delle Nazioni Unite ma ha anche segnato l’inizio di una fase storica di cambiamento.

Avendo chiuso il dibattito dopo due ore, la Ungass si è trasformata quindi nel più grande simposio sul “controllo mondiale delle droghe” che sia mai stato organizzato. L’unico paragrafo della dichiarazione che s’è affacciato sistematicamente nelle cinque tavole rotonde ufficiali e nelle decine di eventi organizzati ai piani inferiori del Palazzo di Vetro è stato quello relativo alla “flessibilità interpretativa” delle Convenzioni.

Nelle intenzioni dei governi che hanno acconsentito a un documento consensuale, giocoforza debole, c’era anche quella di sganciare l’implementazione dei tre documenti Onu da un’interpretazione prevalentemente punizionista. La flessibilità viene invocata per promuovere la depenalizzazione dell’uso personale, le alternative al carcere, la proporzionalità delle sanzioni, programmi di riduzione dei rischi e dei danni che includano anche la somministrazione delle sostanze sotto controllo medico, l’uso tradizionale o religioso di alcune piante, l’aumento della produzione di oppiacei. Insomma flessibilità è sinonimo di buon senso che però esclude la legalizzazione.

Quella del 2016 era una Ungass di passaggio verso una sessione che nel 2019 dovrà rivedere la dichiarazione politica del 2009. Il modo migliore per abbandonare i dogmi e la demagogia è quello di proporre risposte di governo per fenomeni reali e diffusi senza pretendere di cancellarli. L’ingresso dell’Italia tra i paesi che laicamente si pongono di fronte al controllo delle dipendenze e dei rischi e danni a loro connessi deve esser nutrito di fatti concreti. La convocazione della VI Conferenza nazionale sulle droghe, assente dal calendario istituzionale dal 2009, è urgente: è quello il luogo istituzionale dove il Governo deve passare dalle parole ai fatti. Aspettiamo fiduciosi che le parole del Ministro Orlando si facciano strada nel Governo.

PS: Di questi temi si discuterà sabato mattina a Firenze (area San Salvi, palazzina 31, ore 10) in un incontro del Cartello di Genova promosso da Forum Droghe.

Speciale Ungass su www.fuoriluogo.it