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apoyo2La recente sentenza della corte suprema spagnola contro Pannagh mette a repentaglio l’intero modello spagnolo dei Cannabis Social Club. Fuoriluogo aderisce alla campagna a sostegno di Pannagh e dei CSC lanciata oggi dalla Federacion de Asociaciones Cannabicas.

Ecco il testo dell’appello (in italiano e spagnolo) che potete firmare a questo indirizzo:
https://docs.google.com/forms/d/1FJhTktXe3CFhFOvDUawpdDRyRyWnso6aF57iIq_qMqA/viewform?c=0&w=1.

Sostegno a Pannagh

In relazione alla sentenza n. 788/2015 della 2ª Sezione del Tribunale Supremo spagnolo, che ha condannato 4 membri dell’Associazione di Consumatori di Cannabis “Pannagh” (Bilbao) alla detenzione e ad una pesante multa per delitto contro la salute pubblica, le persone e le organizzazioni firmatarie del presente documento dichiarano:

  • Come è stato dimostrato durante il processo presso il Tribunale di Biscaglia e come indicato nella sentenza di assoluzione emessa dalla stessa, Pannagh è un’associazione “legalmente costituita”, i cui membri sono persone “maggiorenni”, “debitamente identificati”, e tutti “erano consumatori di cannabis”.
    Nel rispetto del proprio Statuto e per facilitare l’”accesso alla cannabis con garanzia di qualità senza violare le disposizioni di legge del caso”, “è stato stabilito e accettato dai soci di iniziare l’attività di coltivazione per il consumo privato”, inclusi “i metodi di controllo per evitare la cessione della sostanza a terzi”, cessione che è stato provato non essere mai avvenuta. I soci pagavano una “quota proporzionale destinata a coprire i costi dell’associazione e della coltivazione”, e non esiste alcun indizio che questo denaro sia stato utilizzato per altri fini, di arricchimento, e neanche che possa essere servito a Pannagh come “copertura formale” per la vendita di cannabis a terzi. Inoltre è stato provato che la cannabis sequestrata era destinata esclusivamente al consumo dei membri dell’associazione.
  • Tuttavia la sentenza del Tribunale Supremo altera l’interpretazione delle prove raccolte per poter dichiarare l’esistenza di reati penali. Il suo principale argomento è che se anche la cannabis prodotta da Pannagh non è mai stata consegnata a persone che non fossero i soci, esiste un rischio potenziale di diffusione della sostanza a terzi da parte dei soci. Cioè, i quattro membri di Pannagh sono stati condannati alla detenzione per reati che sarebbero stati commessi  – e non è provato che lo siano- da altre persone senza che loro lo sapessero o lo avessero mai autorizzato, cosa è chiaramente ingiusta. Inoltre il Presidente e la Segretaria sono stati condannati al pagamento di una multa di 250.000 euro ciascuno, una cifra sproporzionata tenendo anche conto che è stato provato che non si sono arricchiti.
  • La 2ª Sezione del Tribunale Supremo spagnolo riconosce l’esistenza di “un errore di proibizione” ovvero ha ridotto di un grado la condanna considerando che i condannati potevano ritenere che la loro condotta non fosse fraudolenta, ma si rifiuta di assolverli affermando che non fecero abbastanza per evitare tale errore di valutazione. La sentenza afferma che “avevano il dovere di verificare la liceità dell’attività che si predisponevano a svolgere, appurando se il loro comportamento fosse in linea con l’ordinamento giuridico” e che si comportarono con imprudenza nell’agire “ incoraggiati dalla infodata speranza che la loro attività sarebbe stata tollerata”. La corte asserisce che  gli accusati “non fecero niente per evitare l’errore”, “non misero in atto nessuna procedura che avrebbe potuto chiarire i dubbi”, “si curarono di nascondere la produzione e la distribuzione della cannabis ai soci”, e inoltre “molti indizi portano a pensare ad un approccio alla questione vicino all’indifferenza”.

Tuttavia, la verità è che le attività di Pannagh sono state oggetto di reiterate sentenze che hanno affermato la loro liceità, in particolare la sentenza n. 218/2006 del Tribunale Provinciale di Biscaglia e la sentenza n. 377/2012 della Corte di Alava, che hanno in entrambi casi portato anche alla restituzione della cannabis sequestrata. Queste sentenze sono state ampiamente diffuse tramite i mezzi di comunicazione e sono pertanto di dominio pubblico, così come le attività di Pannagh che sono state esplicitamente permesse per anni da diverse istituzioni pubbliche. Non si può qundi parlare di “infondata speranza” che le attività fossero concesse, ma di una consapevole convinzione, condivisa anche da diverse corti di giustizia.

È noto inoltre che fra le attività di Pannagh rientrano anche quelle che hanno richiesto il sostegno di diverse istituzioni come al Difensore Civico dei Paesi Baschi o al Parlamento Basco, proprio a causa della condizione di incertezza giuridica nella quale si trovano tali attività. Queste iniziative promosse insieme ad altre associazioni, hanno portato alla costituzione di un forum presso il difensore civico nel 2011, e la creazione di una commissione presso il Parlamento Basco nel 2012. Difficilmente si può parlare di “indifferenza”, o del fatto che gli accusati e il resto di Pannagh non abbia fatto niente per evitare il loro eventuale errore.

Ed ancora, non è credibile che Pannagh abbia provato a nascondere la propria attività di coltivazione, quando il suo Presidente Martin Barriuso ha presentato il modello della propria associzione e dei Cannabis Social Club presso numerose istituzioni e mezzi di comunicazione di diversi paesi, essendo stato invitado a parlarne tra gli altri presso la Commissione Mista sulla Droghe della Cortes Spagnola, la Presidenza della Repubblica dell’Uruguay, il Parlamento della Repubblica del Portogallo, e la Commissione Europea.

Ed è per questo che i sottoscrittori di questo appello richiedono pubblicamente che l’ingiustizia commessa dalla 2ª Sezione del Tribuanle Supremo sia rimediata al più presto.

Gennaio 2016

Firma qui:
https://docs.google.com/forms/d/1FJhTktXe3CFhFOvDUawpdDRyRyWnso6aF57iIq_qMqA/viewform?c=0&w=1.

Apoyo a PANNAGH-ekin elkartasuna

Tras la sentencia nº 788/2015 de la Sala 2ª del Tribunal Supremo, por la que se condena a cuatro miembros de la Asociación de Personas Usuarias de Cannabis Pannagh a penas de prisión y cuantiosas multas por un supuesto delito contra la salud pública, las personas y entidades firmantes queremos manifestar:• Tal y como quedó acreditado en el juicio celebrado en la Audiencia Provincial de Bizkaia, y como se recoge en la sentencia absolutoria dictada por la misma, Pannagh es una entidad “legalmente constituida”, cuyos miembros son personas “mayores de edad”, “debidamente identificadas”, y todas ellas “eran consumidoras de cannabis”.

En aplicación de sus estatutos y para lograr el “acceso a cannabis con garantías de calidad sin vulnerar las disposiciones legales aplicables al caso”, “se estableció y se aceptó por los socios la actividad de cultivo para consumo privado”, que incluía “medidas de control para evitar la difusión de la sustancia producida a terceras personas”, difusión que no se ha acreditado que sucediera nunca. Los socios pagaban una “cuota proporcional destinada a cubrir los gastos propios de la asociación y del cultivo”, sin que exista indicio alguno de desvío del dinero a otros fines, de enriquecimiento, ni de que Pannagh pudiera haber servido de “cobertura formal” para la venta de cannabis a terceros. También se ha probado que el cannabis incautado estaba destinado exclusivamente al consumo de los miembros de la propia asociación.

• Sin embargo, la sentencia del Tribunal Supremo altera el relato de los hechos probados para concluir la existencia de delito. El principal argumento es que, aunque el cannabis producido por Pannagh nunca fuera entregado a personas no socias, existe un riesgo potencial de difusión de la sustancia a personas ajenas a la asociación por parte de los socios. Es decir, los cuatro miembros de Pannagh son condenados a prisión por actos que, de haber sucedido –lo cual no está acreditado-, habrían sido cometidos por otras personas sin su conocimiento ni autorización, lo cual es claramente injusto. Además, al presidente y a la secretaria se les imponen multas de 250.000 euros, una cantidad desproporcionada teniendo en cuenta que se considera probado que no intentaron enriquecerse.

• La Sala 2ª del Tribunal Supremo aprecia la existencia de un “error vencible de prohibición”, es decir, reduce las penas en un grado al considerar que los condenados podían tener motivos para creer que sus acciones no constituían delito, pero a la vez se niega a absolverles afirmando que no hicieron lo suficiente para salir de su error. La sentencia afirma que “tenían la carga de verificar la licitud de la actividad que se proponían desplegar, de tomar conocimiento sobre si la conducta se hallaba en consonancia con el orden jurídico” y que se comportaron con imprudencia al actuar “alentados por la infundada esperanza de que su actuación podría ser tolerada”. La Sala considera que los acusados “no hicieron nada por superar ese error”, “huyeron de mecanismos que habrían logrado disipar dudas”, “se cuidan de ocultar la producción de cannabis y su distribución entre los socios”, y añade que “muchos datos inclinan a pensar en una actitud muy próxima a la relativa indiferencia”.

Sin embargo, lo cierto es que las actividades de la asociación Pannagh han sido objeto de reiteradas resoluciones judiciales que han afirmado su licitud penal, destacando el Auto nº 218/2006 de la Audiencia Provincial de Bizkaia y el Auto nº 377/2012 de la de Álava, habiendo sido en ambos casos devuelto a Pannagh el cannabis incautado. Esas resoluciones han sido ampliamente difundidas a través de los medios de comunicación y son, por tanto, de conocimiento público, igual que las propias actividades de Pannagh, que han sido sido claramente permitidas durante años por distintas instituciones públicas. No cabe, por tanto, hablar de “infundada esperanza”, sino más bien de una convicción bien fundamentada, compartida incluso por distintos tribunales de justicia.

También es conocido que entre las actividades llevadas a cabo por Pannagh se encuentran iniciativas de solicitud de amparo promovidas ante diversas instituciones, como el Ararteko (Defensor del Pueblo del País Vasco) o el Parlamento Vasco, a causa de la inseguridad jurídica en la que se encuentran este tipo de entidades. Estas iniciativas, desarrolladas junto con otras asociaciones, dieron lugar a la organización de un Foro por parte del Ararteko en 2011, y a la creación de una ponencia en el Parlamento Vasco en 2012. Difícilmente se puede hablar de “indiferencia”, o de que los acusados y el resto de Pannagh no hicieran nada por salir de su error.

Además, tampoco es creíble que se intentaran ocultar las actividades de cultivo de Pannagh cuando su presidente, Martín Barriuso, ha dado a conocer el modelo de funcionamiento de su asociación y de los llamados Clubes Sociales de Cannabis en muy diversos foros, instituciones y medios de comunicación de diversos países, habiendo sido invitado para ello, entre otras instituciones, por la Comisión Mixta de Drogas de las Cortes españolas, la Presidencia de la República del Uruguay, la Asamblea de la República de Portugal, y la Comisión Europea.

Por todo ello, las personas y entidades firmantes reclamamos públicamente que se remedie lo antes posible la injusticia cometida con esta sentencia de la Sala 2ª del Tribunal Supremo.

Enero de 2016

Firma qui:
https://docs.google.com/forms/d/1FJhTktXe3CFhFOvDUawpdDRyRyWnso6aF57iIq_qMqA/viewform?c=0&w=1.