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Le politiche sulle droghe di un paese sono particolarmente sensibili all’influenza di fattori e soggetti esterni (convenzioni Onu, direttive europee, gruppi di pressione internazionali) e interni (soggetti portatori di interessi diversi) che esercitano la loro influenza sul processo decisionale e sull’implementazione delle politiche.

In Italia il nuovo millennio è stato inaugurato con una svolta repressiva nella politica sulle droghe culminata nella legge Fini-Giovanardi del 2006, che è stata rafforzata da una straordinaria operazione di costruzione sociale del problema, avvenuta attraverso il braccio operativo del Dipartimento delle Politiche Antidroga (DPA). Fino al 2014 il Dipartimento ha portato avanti un’intensa attività di “animazione del problema” (produzione bulimica di materiale informativo rivolto alla popolazione e agli operatori del settore), una sistematica operazione di “dimostrazione del problema” (divulgazione selettiva di dati e letteratura scientifica a sostegno di tesi predefinite) e la costante ricerca di “legittimazione del problema” ottenuta anche attraverso il suo Comitato scientifico, costituito da esperti in maggioranza americani, con sovra-rappresentanza delle neuroscienze e della farmacologia e totale assenza di epidemiologi, sociologi e antropologici, per misurare e monitorare la dimensione del fenomeno e i suoi cambiamenti, e di professionisti della cura delle dipendenze.

La costruzione del problema, piegata agli orientamenti ideologici del momento, è avvenuta anche attraverso la distribuzione dei fondi previsti dalla legge, in gran parte destinati a progetti sui danni della cannabis sul cervello.

Cosa succede oggi? E’ ragionevole ipotizzare che ci troviamo di fronte a una finestra politica, un intervallo temporale in cui si verificano condizioni e opportunità per la formulazione di una nuova politica. Dal punto di vista del problema, il consumo può essere considerato normalizzato, non solo per la sua diffusione, ma anche per la sua crescente accettabilità sociale e riduzione dello stigma del consumo a uso ricreativo. Dal punto di vista delle politiche molte Regioni hanno approvato l’uso terapeutico della cannabis e per la prima volta è stata presentata una proposta di legge per la sua legalizzazione da parte di un ampio gruppo interparlamentare. Inoltre il quadro politico potrebbe essere particolarmente favorevole al cambiamento: un governo di diverso orientamento politico, intense attività di lobby portate avanti da gruppi di interesse, tra i quali troviamo anche le associazioni dei consumatori di canapa, il cui attivismo è piuttosto recente sulla scena italiana. A tutto ciò si aggiunga quanto sta avvenendo nell’arena internazionale, con i cambiamenti normativi che stanno rapidamente cambiando lo scenario americano, la nuova legge uruguaiana, le sperimentazioni europee e l’attività di sensibilizzazione a favore della legalizzazione delle droghe portata avanti dagli autorevoli componenti della Global Commission on Drug Policy.

Basterà tutto ciò a superare le divergenze ideologie che hanno caratterizzato i discorsi sulle droghe nel nostro paese? Le opportunità per aprire una finestra politica che faccia entrare luce e porti all’archiviazione dell’oscurantismo dell’ultimo decennio ci sono. E’ importante però che non si resti abbagliati solo dalla questione cannabis, ma si colga questa policy window per una più ampia revisione normativa che includa i consumi di tutte le sostanze illegali e le risposte da dare a coloro che si trovano in situazioni problematiche, che, va ricordato, continuano a esistere.