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Ci risiamo, un annuncio “formidabile”: “Un gruppo di scienziati americani, diretto dal Prof. Antonello Bonci del National Institute on Drug Abuse di Bethesda e strettamente collegato al Dipartimento Politiche Antidroga italiano, ha dimostrato attraverso un recentissimo studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature che è possibile eliminare l’interesse ad assumere cocaina grazie ad una tecnologia rivoluzionaria e avveniristica chiamata “optogenetica” che è una specialità dell’ ingegneria genetica.”

Ancora dichiarazioni roboanti, soluzioni miracolose che provengono dalle neuroscienze. Ratti resi dipendenti dalla cocaina e poi “salvati” con applicazioni di raggi laser.
L’invadenza mediatica ed economica delle ricerche neuro scientifiche è da troppo tempo un fattore inquinante la discussione scientifica e professionale sull’addiction.
Recentemente (The Guardian on line, 10 Aprile 2013) Kate Button, psicologa ricercatrice presso l’Università di Bristol, ha espresso profondi dubbi proprio sulla validità e l’utilità di questo tipo di ricerche.
Button, attraverso un ragionamento rigoroso e accessibile, afferma che molte delle conclusioni di tali ricerche sono false. Ciò che manca in studi come quello americano è soprattutto ciò che è definita “potenza statistica”. Il numero molto basso dei casi studiati (a prescindere anche dall’applicazione sugli animali da laboratorio), dovrebbe portare a ridimensionare le conclusioni delle ricerche, che al contrario vengono enfatizzate. La mancanza di numeri elevati allontana dall’identificazione dei “veri” effetti dell’intervento che si vuole testare. Su queste basi, si dovrebbe passare a studi clinici di più grandi dimensioni, dai costi stratosferici e che frequentemente contraddicono i primi risultati. L’inaffidabilità è ancora più grande se si considera, come fa l’autrice, la tendenza della letteratura scientifica e di quella di divulgazione a esagerare la portata delle scoperte mirabolanti e a sottostimare (quando non a ignorare) le ricerche che dimostrano l’assenza di effetti nulli di un dato approccio. In questo modo, i ricercatori giovani (ma anche i centri e i gruppi di ricerca) se vogliono avere successo, fondi, carriera sono portati ad applicarsi su studi dagli apparenti mirabolanti risultati, invece che anche su ricerche che possano contraddire tali risultati.

Ormai da un quinquennio, il Dipartimento Antidroga italiano ha intrapreso questa strada: assoluta supremazia delle neuroscienze, oscuramento degli altri contributi scientifici, “salto” alle conclusioni operative delle ricerche neuro scientifiche attraverso le solite immagini dei cervelli, corto circuito sui messaggi terroristici (di cui le “campagne informative” sono una notevole testimonianza).
Basta guardare la composizione del Comitato Scientifico del Dpa: dieci membri, di cui otto statunitensi e tutti con competenze sulle neuroscienze o sulla tossicologia.
Il capo del Dpa, Giovanni Serpelloni, dice che questo Comitato non è costato un euro. Si sono sentiti su Skype? O avrà sperimentato un meccanismo di scambio di informazioni e pareri per via trasmissione da cervello a cervello?