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Se qualcuno intende sostenere che la tutela dello «stile di vita» di un autista di Tir, di un controllore di volo o del responsabile di una centrale nucleare debba spingersi fino alla possibilità che gli sia permesso, anche solo occasionalmente, di farsi uno “spinello” e continuare a svolgere il proprio lavoro, è bene che lo scriva in un programma di governo, lo dica chiaramente ai cittadini italiani e poi si presenti alle elezioni per incassarne il mandato politico per tradurre tale aberrante assioma in una norma dello Stato.

Quello che leggo nell’articolo apparso il 21 luglio u.s. su Il Manifesto è il malcelato tentativo di una frangia, peraltro sempre più esigua ed isolata, di portare avanti una battaglia ideologica, ormai minoritaria nella cultura di questo Paese, con cui si continua a sostenere, a dispetto delle più recenti evidenze scientifiche, che l’uso della droga, anziché il sintomo di un disagio e, in taluni casi, di una vera e propria patologia, rappresenti una modalità di determinazione della propria personalità.

E tale pretesa varrebbe anche quando l’interessato fosse un lavoratore che svolge una delle mansioni di particolare rischio per la salute, l’incolumità e la sicurezza sua e dei terzi che con lui interagiscono (destinatari della prestazione, colleghi di lavoro) indicate nell’apposito elenco allegato all’intesa sancita in Conferenza unificata il 30 ottobre 2007. In quel documento, approvato nel corso della precedente Legislatura (Governo Prodi), all’art. 1, è indicata con chiarezza, quale condizione ostativa alla prosecuzione della mansione, anche  un’«assunzione solo sporadica di sostanze stupefacenti».

Mi chiedo con quale responsabilità si possa affermare che si tratti di «accanimento» il nuovo corso dei controlli antidroga sui lavoratori finalizzato ad escludere, non solo la tossicodipendenza, ma anche l’uso delle sostanze stupefacenti e con quanta superficialità si possa altrimenti sostenere che l’utilizzo sporadico di dette sostanze non si traduca in una vera è proprio “inidoneità” alla mansione.

Bisogna che tutti comprendano, e forse i lusinghieri dati dell’ultima Relazione annuale al Parlamento evidenziano che questo processo è ormai avviato, che le esigenze della sicurezza sono assolutamente prioritarie rispetto a qualsiasi altra questione e che l’impegno del Governo e del Parlamento vanno decisamente in questa direzione. Si vedano, ad esempio, i provvedimenti legislativi in itinere riguardanti la sicurezza stradale (AS 1720-B) e la cosiddetta “naia breve” (AS 3638), in cui sono prescritte agli interessati certificazioni tendenti ad escludere qualsiasi forma di contiguità, anche occasionale, con l’universo delle droghe.

Insomma, diversamente dagli estensori dell’articolo in commento, continuo a ritenere che poco importi, soprattutto a chi usufruisce delle loro prestazioni, che un autista di TIR o di un pullman destinato al trasporto delle persone, consumi droga quale riflesso di una condizione di tossicodipendenze o nel contesto di fenomeni di consumo avulsi da tale situazione.

Carlo Giovanardi

Chiunque consumi alcol o sostanze psicoattive illegali mentre guida automezzi (o svolge altre mansioni a “rischio”) oppure poco prima di farlo, non può ripetere quel comportamento, che va anche sanzionato, ma soprattutto prevenuto, in particolare con l’informazione. Altra cosa è l’attacco  – che il sottosegretario Giovanardi purtroppo ripropone  – allo stile di vita, cioè a quello che il lavoratore fa o non fa nel proprio tempo libero, lontano dalla guida e dalle altre mansioni considerate. Invece le vere e proprie tossicodipendenze, quando ci sono, vanno curate in tempo e bene (e non punite in quanto comportamenti devianti); ma i servizi preposti sono al collasso: di questo, forse, bisognerebbe preoccuparsi.
Giuseppe Bortone
Responsabile tossicodipendenze Cgil nazionale