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La commissione, composta di 17 esperti indipendenti, ha valutato l’impatto della politiche di “guerra alla droga” in America Latina e ha raccomandato proposte per strategie più efficaci e rispettose dei diritti umani.

Dichiariamo che la guerra alla droga è fallita

La violenza e il crimine organizzato associati al mercato dei narcotici sono problemi critici nell’America Latina di oggi. Di fronte alla situazione che sta peggiorando giorno dopo giorno, è imperativo correggere la strategia della “guerra alla droga” perseguita in questa regione negli ultimi trenta anni.
Le politiche proibizioniste basate sullo sradicamento delle coltivazioni illegali, sulla distruzione delle vie di transito delle droghe, sulla criminalizzazione dell’uso di droga non hanno dato i risultati sperati. Mai come oggi siamo lontani dall’annunciato obiettivo di sradicare le droghe.
Una valutazione realistica indica che:
–    Il continente dell’America Latina rimane il più grande esportatore di cocaina e canapa, mentre è divenuto un produttore, in crescita, di oppio ed eroina e sta sviluppando la capacità di produrre droghe sintetiche.
–    I livelli di consumo di droghe continuano a crescere in America Latina mentre c’è una tendenza alla stabilizzazione nel Nord America e in Europa.

In America Latina è ancora più urgente una profonda revisione delle attuali politiche della droga, alla luce degli enormi costi umani e sociali e delle minacce alle istituzioni democratiche.
Negli ultimi decenni abbiamo assistito:
–    alla crescita del crimine organizzato a causa del traffico internazionale dei narcotici e del crescente controllo esercitato dai gruppi criminali sui mercati e i territori nazionali;
–    alla crescita a livelli inaccettabili della violenza legata alla droga che colpisce l’intera società e in particolare i poveri e i giovani;
–    alla criminalizzazione della politica e alla politicizzazione del crimine insieme alla proliferazione dei legami fra crimine e politica, riflessa nell’infiltrazione del crimine organizzato nelle istituzioni democratiche;
–    alla corruzione dei pubblici funzionari, del sistema giudiziario, dei governi, del sistema politico e specialmente delle forze di polizia preposte all’applicazione della legge penale.

Spezziamo il silenzio e apriamo il dibattito

Le attuali politiche repressive hanno le loro radici nei pregiudizi, nella paura e nell’ideologia. La questione droghe è diventata un tabù che blocca il dibattito.
Occorre spezzare questo tabù e riconoscere il fallimento delle attuali politiche, come prerequisito per aprire la discussione su un nuovo paradigma. Ciò non significa respingere direttamente le politiche di contrasto al traffico, né sottrarsi in alcun modo all’urgente priorità di rafforzare la lotta contro i cartelli e i trafficanti di droga. La sfida è di ridurre drasticamente il danno causato dai narcotici illegali alle persone, alle società, alle pubbliche istituzioni. Per muovere in questa direzione, è essenziale differenziare fra le sostanze illecite secondo il danno che arrecano alla salute degli individui e al tessuto della società.
La ricerca di politiche più efficaci, radicate nel rispetto dei diritti umani, implica il tener conto della  diversità delle situazioni nazionali e di porre l’accento sulla prevenzione e il trattamento.

Verso un nuovo paradigma

Il nuovo paradigma si basa su tre direttive:
–    la cura dei consumatori di droga in un’ottica di sanità pubblica
–    la riduzione del consumo attraverso l’informazione, l’educazione e la prevenzione
–    il focus della repressione sul crimine organizzato

Per tradurre questo cambio di paradigma in azioni concrete, proponiamo che i paesi dell’America Latina adottino le seguenti iniziative, nel quadro di un processo globale di ridefinizione del  contrasto alle droghe:
1.    Cambiare lo status dei tossicodipendenti da acquirenti di droga sul mercato illegale a pazienti che la sanità pubblica deve prendere in carico. Questo cambiamento di status può avere un impatto significativo nel ridurre la domanda di droghe illegali, abbassando i prezzi e minando di conseguenza i fondamenti economici del business della droga
2.    Valutare dal punto di vista della sanità pubblica e sulla base della più avanzata ricerca medica l’opportunità di decriminalizzare la detenzione di cannabis ad uso personale. La cannabis è la droga di gran lunga più usata in America Latina e le evidenze empiriche disponibili dimostrano che il danno causato da questa droga è simile al danno causato dall’alcol e dal tabacco.
3.    Ridurre il consumo attraverso campagne di informazione e di prevenzione che possano essere capite e accettate dai giovani, che costituiscono la più ampia fetta di  consumatori. I cambiamenti sociali e culturali che hanno portato a consistenti riduzioni nell’uso di tabacco mostrano l’efficacia delle campagne di informazione e prevenzione basate su un linguaggio chiaro e su argomenti coerenti con l’esperienza di coloro ai quali sono indirizzate. C’è molto da imparare dalle esperienze innovative di alcuni paesi europei come il Regno Unito, l’Olanda e la Svizzera.
4.    Reindirizzare le strategie repressive verso la lotta senza soste contro il crimine organizzato. Le politiche pubbliche dovrebbero avere come target la lotta agli effetti più dannosi del crimine organizzato sulla società, come la violenza, la corruzione, il riciclaggio di denaro, il traffico di armi e il controllo sui territori.
5.    Reinquadrare la repressione contro la coltivazione di droghe illecite. Gli sforzi per sradicare le coltivazioni illegali devono combinarsi con l’adozione di programmi di sviluppo alternativo ben finanziati e adattati alle realtà locali, in termini di prodotti convenienti e di condizioni praticabili per la competizione sul mercato. E’ importante parlare non solo di coltivazioni alternative, ma anche di altre iniziative come l’utilizzo legale di piante come quella di coca, nei paesi che hanno una lunga tradizione di uso ancestrale di questa pianta.     

Impegniamo la società civile e l’opinione pubblica nel confronto pubblico

La costruzione di alternative è un processo che richiede la partecipazione di una pluralità di attori sociali: le istituzioni penali e di ordine pubblico, gli educatori, gli operatori sociosanitari, i leader spirituali, le famiglie, i media e gli opinion maker.
A livello delle Americhe, l’America Latina deve stabilire un dialogo con gli Stati Uniti per sviluppare insieme alternative alla guerra alla droga. L’avvio dell’amministrazione Obama offre un’opportunità unica per ridisegnare una strategia fallimentare e impegnarsi nella comune ricerca di politiche più umani ed efficaci. Dobbiamo anche impegnarci a livello globale per portare la voce e la visione dell’America Latina nel dibattito internazionale e alle Nazioni Unite.

Il retroterra delle convenzioni internazionali

La base del regime internazionale delle droghe è rappresentata dalle convenzioni delle Nazioni Unite, di cui la prima risale al 1961 (la seconda è del 1971, la terza del 1988). Le politiche che scaturiscono dalle convenzioni hanno come prospettiva l’eliminazione di ogni uso (ricreazionale, rituale, sperimentale o di automedicazione) della coca, cocaina, oppio, eroina, marijuana e di una varietà di altre droghe. La convenzione del 1961 aveva stabilito come obiettivo l’eliminazione del consumo di oppio in 15 anni e dell’uso di coca e marijuana in 25 anni.
Per ciò che riguarda il consumo, i principi delle convenzioni lasciano spazio per iniziative di depenalizzazione o di decriminalizzazione dei consumatori anche se le droghe rimangono illegali. I paesi che hanno firmato le convenzioni possono perciò essere flessibili nei riguardi dei consumatori ma devono combattere la produzione e il commercio delle droghe.

I risultati e le conseguenze della war on drugs

Oggi nel mondo, 208 milioni di persone usano una qualche droga illegale almeno una volta l’anno e il traffico di droghe, controllato dal crimine organizzato, è stimato in centinaia di miliardi di dollari.
L’ultimo World Drug Report redatto dallo Unodc (l’agenzia Onu sulle droghe) riconosce che l’applicazione delle Convenzioni ha prodotto diverse conseguenze negative inaspettate:
–    la creazione di un mercato nero controllato dal crimine;
–    la lotta contro il crimine legato al traffico richiede risorse sempre maggiori, spesso a detrimento degli investimenti per la sanità pubblica;
–    la repressione della produzione in una regione fa sì che questa si trasferisca in un’altra, così che la produzione globale rimane stabile;
–    l’uso dei diversi tipi di droga si sposta da un luogo all’altro come conseguenza del cambiamento di prezzi derivato dalla repressione;
–    Infine, le politiche di proibizione hanno prodotto la stigmatizzazione dei tossicodipendenti che sono socialmente emarginati e devono lottare per trovare trattamenti sanitari adeguati;

Ma lo Unodc sottostima quelle che chiama “le conseguenze inaspettate”: il traffico dei narcotici ha prodotto un enorme aumento nel livello di violenza e corrompe le istituzioni e la democrazia; trasforma milioni di persone che vivono nelle zone povere in ostaggi del crimine organizzato; spinge i tossicodipendenti a usare siringhe che trasmettono l’infezione Hiv e altre malattie contagiose.
Le convenzioni internazionali non riconoscono le forme tradizionali di consumo di coca, criminalizzando popoli e culture.
In molti paesi le punizioni sono sproporzionate e portano a carcerazioni di massa; in alcuni paesi, anche ad esecuzioni capitali.

La politica dello sradicamento in America Latina

Tre paesi latino americani (Colombia, Perù e Bolivia) producono la somma totale dell’offerta di cocaina a livello mondiale.  Negli ultimi decenni, questi paesi hanno iniziato politiche di sradicamento delle coltivazioni illegali, di sequestri e di repressione del traffico, con l’aiuto del governo degli Stati Uniti. Il programma più importante è stato il Plan Colombia, che si proponeva di porre fine al conflitto armato nella regione, di preparare una strategia di contrasto al traffico, di sradicare la produzione di coca, di rivitalizzare l’economia del paese e di offrire alternative ai contadini.
I principali obiettivi del Plan Colombia e di altri programmi di sradicamento sono falliti. Nonostante le fluttuazioni, la produzione continua ad essere sufficiente per rifornire il mercato globale (dopo i picchi del 1999, 2000, 2001 oltre i livelli di 200.000 ettari, dal 2004 la produzione si è stabilizzata sui 170.000 ettari per poi risalire intorno ai 180.000 ettari nel 2007). Nonostante l’incremento dei sequestri, il prezzo della cocaina è sceso mentre è aumentato il grado di purezza.
Tutto ciò a fronte di un enorme rialzo degli investimenti per la repressione.
Questa situazione è il risultato della differenza fra il costo delle materie prime e il prezzo pagato dal consumatore. La proibizione produce un mercato con esorbitanti profitti.
Per fare un esempio: il prezzo di pasta di coca (da cui si estrae la cocaina) pagato al contadino è di 900 dollari; un chilo di cocaina, pura al 67%, viene venduto sul mercato al dettaglio a 150.000 dollari.
Fino alla metà degli anni novanta, le foglie di coca erano coltivate soprattutto in Perù e Bolivia (l’80% della produzione globale). Dopo la riduzione in questi due paesi, la produzione è aumentata in Colombia, che è diventato il maggiore produttore mondiale. Alcune delle aree coltivate erano nel territorio delle Farc, che hanno cominciato a organizzare i produttori e a entrare nel commercio, così che la coca è diventata un importante fattore della guerriglia. A loro volta, i gruppi paramilitari (Auc) che combattono le Farc hanno cominciato a trafficare in coca.
Fino agli anni novanta, il traffico verso gli Stati Uniti (il maggiore consumatore di cocaina) è stato appannaggio dei cartelli colombiani di Medellin e Cali. Dopo che questi sono stati smantellati, il controllo del traffico si è spostato in Messico: i trafficanti messicani hanno assunto il controllo del mercato statunitense e lo hanno esteso in Europa.

Il traffico dei narcotici: violenza, corruzione, minaccia alla democrazia

Le conseguenze della guerra alla droga nelle società latino americane possono essere così riassunte:
–    lo sviluppo di poteri paralleli in aree dei territori nazionali (i quartieri poveri delle grandi città, le regioni più interne, le aree di frontiera e i territori dell’Amazonia)
–    la criminalizzazione dei conflitti politici
–    la corruzione della vita pubblica, soprattutto delle forze di polizia e del sistema giudiziario)
–    l’alienazione dei giovani, in specie dei giovani poveri
–    la migrazione interna dei contadini (più di due milioni, e in più altre migliaia di coltivatori che cercano rifugio dalla guerra in Colombia)
–    la stigmatizzazione delle culture tradizionali, come quella della foglia di coca.

Secondo le Nazioni Unite e la Banca Mondiale, l’America Latina ha il più alto tasso di vittime per omicidio nel mondo (al primo posto il San Salvador, seguito dalla Colombia e dal Venezuela). Il tasso di morti per omicidio fra i giovani in diversi paesi del Sud America è più alto che in molti paesi in guerra.
La relazione fra omicidi, diffusione di armi da fuoco e commercio di droga, è centrale. Le droghe finanziano la vendita di armi da fuoco, che sostengono la guerra fra bande per il controllo dei territori e del traffico di droga.
Il traffico usa sistematicamente i giovani e i minori: secondo gli studi dell’Osservatorio sulle Favela, i minori di 18 anni rappresentano fra il 50 e il 60% della forza lavoro impiegata nel settore criminale.

I limiti del proibizionismo

La conseguenza più importante dell’enfasi sulla repressione, seguita dagli Stati Uniti, è la incarcerazione di un enorme numero di persone per reati di droga:
Nel 1980, negli Usa, erano in carcere meno di 50.000 individui per questi reati; nel 2007, erano diventati 500.000. Mezzo milione di persone incarcerate per spaccio o detenzione di droga, non per reati violenti associati alla droga. Nonostante ciò, non c’è alcuno studio che dimostri una relazione fra questi numeri di incarcerazione di massa e l’evoluzione dei prezzi della droga. Anzi, se si esaminano i dati dal 1980 ad oggi, si osserva che all’aumento esponenziale delle carcerazioni ha corrisposto una costante diminuzione dei prezzi di eroina e cocaina.

Riduzione del danno, depenalizzazione, decriminalizzazione

Negli ultimi decenni, diversi paesi hanno sviluppato politiche innovative, basate su due pilastri: la depenalizzazione del consumo e la riduzione del danno.
La riduzione del danno è una strategia che vede l’uso di droga come una questione di salute pubblica: il tossicodipendente è una persona che ha bisogno di cure, non un criminale.
La depenalizzazione si può definire come la rinuncia a punire col carcere chi detenga droga ad uso personale, anche se la legge penale continua a proibire la detenzione e l’uso. La depenalizzazione ha il problema che la rinuncia alla punizione comporta un potere discrezionale della polizia. In paesi in cui la corruzione delle forze di polizia è endemica, questo potere discrezionale può tradursi nel ricatto del consumatore, una pratica comune in America Latina.
La decriminalizzazione significa rimuovere la detenzione a fine personale dal codice penale. Tuttavia il possesso di droga rimane un’azione illegale, soggetta a sanzioni amministrative come una multa o la sospensione della patente di guida. Nella maggioranza dei paesi europei, così come in Canada e in Australia, la detenzione di piccole quantità di marijuana non costituisce un reato penale.
Se si paragona l’impatto delle politiche repressive degli Stati Uniti e di quelle meno repressive dell’Europa, si vede che le tendenze nel consumo sono simili. In altre parole, le politiche meno repressive, più umane e che comportano costi sociali minori non producono consumi più alti.

Le nuove tendenze in America Latina

Diversi paesi sono passati, o stanno per passare, a politiche di depenalizzazione del possesso di droga per l’uso personale. Fra questi, il Venezuela, l’Argentina, la Colombia, il Brasile. Inoltre, nelle regioni Andine che hanno una tradizione di uso ancestrale di coca, cresce la richiesta di rispettare le culture locali e ci si orienta verso la ricerca di usi alternativi per le coltivazioni oggi illegali.
Il motto del presidente Morales è “Cocaina zero, ma non zero coca”. In Bolivia, dal 1998, è permesso coltivare a coca fino a 12.000 ettari per l’uso tradizionale della masticazione e per la produzione di tè. Nel 2004, l’estensione delle coltivazioni permesse è stata aumentata.
In Brasile, il governo del presidente Cardoso ha creato il Segretariato Nazionale per la Droga, con l’obiettivo di trovare un equilibrio fra la repressione, la prevenzione, la riduzione della domanda. Nel 2006, sotto il governo di Lula, è stata modificata la legge antidroga, rafforzando i programmi di prevenzione e offrendo ai consumatori misure di educazione e prevenzione al posto delle sanzioni penali. E’ stata anche depenalizzata la coltivazione ad uso personale.

Nell’ottobre 2008, il presidente messicano Felipe Calderon ha avanzato una proposta di legge per decriminalizzare il possesso di piccole quantità di droga (2 grammi di marijuana, 50 milligrammi di eroina, 5000 milligrammi di cocaina e 40 milligrammi di metamfetamine). Anche il governo argentino ha promesso di decriminalizzare il consumo.
Di recente, la Bolivia e l’Argentina hanno firmato un accordo per una strategia congiunta antidroga nella regione. E’ probabile che si uniranno presto anche l’Argentina, il Perù e il Cile.
In conclusione, i paesi latino americani stanno andando nella stessa direzione, alla ricerca di alternative alla politica di indiscriminata repressione.

Guardando al futuro

La linea della proibizione, della repressione, della punizione, non solo non risolve i problemi ma ne crea di nuovi e ancora più seri.
Le politiche basate sulla depenalizzazione del consumo, sul trattamento della dipendenza, sulla prevenzione di infezioni come quella dello Hiv, si sono rivelate più efficaci e più umane.
In America Latina, diversi paesi si sono messi, o si stanno mettendo, su questa strada. Occorre sostenere il cambiamento nella legislazione, nelle campagne di educazione, nei programmi di trattamento, nell’informazione.
Le forze di sicurezza dovrebbero concentrarsi sulla lotta al crimine organizzato. L’eccessiva concentrazione sui consumatori rappresenta uno spreco delle limitate risorse e apre la porta alla corruzione delle forze militari e della polizia.
La ricerca di alternative nelle coltivazioni non deve escludere a priori la possibilità di un uso legale delle coltivazioni attuali. La nuova ricerca scientifica potrebbe valorizzare l’uso della cannabis e della coca come ingredienti per medicinali, per usi culinari, per gomme da masticare, per la produzione di fibre molto resistenti da utilizzare per tessuti e corde, per prodotti di igiene, per combustibili e per plastiche di origine vegetale.
I parlamentari, i governi, le autorità di giustizia, le organizzazioni per la pubblica sicurezza, gli operatori sociosanitari, le organizzazioni della società civile devono diventare protagonisti di un dibattito aperto e informato, senza interessi corporativi.
C’è bisogno di nuovi forum di dibattito, all’interno di ciasun paese e fra i diversi paesi, per trovare soluzioni regionali.
In quanto regione che più ha sofferto gli effetti negativi della war on drugs, l’America Latina può dare un efficace contributo alla ricerca di nuovi paradigmi per affrontare i problemi del commercio e del consumo di droghe illegali.