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Meglio un bicchiere di vino coi genitori a casa, sentenzia la star del calcio dallo schermo televisivo. Da mesi il messaggio imperversa su tutti i media, piatto forte della campagna governativa di prevenzione della droga. Quanto possa allettare un adolescente la prospettiva di una serata coi propri vecchi, è facile immaginare, né la promessa bicchierata migliora le cose. Anzi, c’è il rischio che l’associazione fra alcol (legale) e divertimento (lecito) aumenti il fascino trasgressivo delle droghe (illecite). Lo dice il buon senso, senza scomodare la psicologia dell’età evolutiva.

A pensarci bene, il vero obiettivo dello spot non è la salute dei ragazzi, ma il sostegno all’idea che ci siano droghe “inaccettabili” versus l’accettabilità dell’alcol. Inaccettabili perché dannose o perché illegali? Su questo delicato quesito, è in corso da almeno un decennio lo scontro fra scienza e politica, venuto allo scoperto con la pubblicazione nel 1999 del rapporto redatto dal farmacologo Bernard Roques, accademico di Francia. Roques stilò la seguente classifica del rischio: l’alcol al primo posto, insieme ad eroina e cocaina, poi gli psicostimolanti (ecstasy) e tabacco, all’ultimo gradino la canapa. Nella patria dello champagne ci fu al tempo molto clamore, sostanzialmente per nulla: il governo francese tirò dritto per la sua strada. Alla fine d’ottobre, David Nutt, docente di psicofarmacologia allo Imperial College di Londra, presidente dello Advisory Council on the Misuse of Drugs (ACMD), organo consultivo del governo britannico, è stato sollevato da questo incarico. La sua colpa è di aver sostenuto che alcol e tabacco sono più pericolosi di molte droghe illegali, inclusi LSD, ecstasy e cannabis. A detta del segretario di stato Alan Johnson, che gli ha dato il benservito, la posizione del professor Nutt “danneggia gli sforzi per dare al pubblico messaggi chiari sul pericolo delle droghe”. Tanto, per sancire il divorzio fra messaggio (politico) e informazione (scientifica). Tanto, per chiarire che la scienza non può studiare le droghe (legali e illegali) allo stesso modo. Anche la scienza deve essere “politicamente corretta”. In un articolo pubblicato sul Guardian (3/11), David Nutt riporta il dialogo con un politico tipo, mettendo in ridicolo il corto circuito logico. Il politico: “Non puoi comparare i danni di un’attività legale con quelli di una illegale”. Nutt: “Perché no?”. Il politico: “Perché una è illegale”. Nutt: “Perché è illegale?”. Il politico: “Perché è dannosa”. Nutt: “Dunque abbiamo bisogno di mettere a confronto i danni per stabilire se deve essere illegale. Non pensi?”. Il politico: “Ma non puoi comparare i danni di un’attività legale con quelli di un’attività illegale”. Si badi bene. E’ opinabile che il danno delle sostanze si misuri solo sulla farmacologia. Il rischio per la salute è in gran parte determinato dalla frequenza e dall’intensità dell’uso, su cui influiscono i rituali sociali e i modelli d’uso. Sono variabili di cultura più che di chimica. Com’è opinabile che per le sostanze più pericolose la scelta giusta sia l’illegalità: molte overdose da eroina sono dovute alla clandestinità e all’ignoranza della concentrazione della sostanza che si sta usando; sono a carico delle politiche antidroga più che della farmacologia.

Dunque, sulla classificazione delle droghe e sulle scelte che ne conseguono è bene discutere a fondo. Ma la politica rifugge dal confronto sugli argomenti, perché la proibizione si muove su un terreno altro dalla razionalità. Il rapporto fra ricerca e politica non è senza contraddizioni. Da un lato, i politici proibizionisti si appellano alla scienza per dimostrare che alcune sostanze sono dannose e perciò da proibire. Dall’altro, scoprire che alcune droghe illegali sono meno pericolose dell’alcol mina il fondamento della proibizione. Come lo incrina ammettere che solo una parte del danno droga correlato risiede nella nocività delle droghe. Alla radice, il conflitto è fra la “ragione” scientifica e la retorica della politica proibizionista. La proibizione non ha finalità pragmatiche, è uno strumento ideologico che si autolegittima. Piace perché cavalca i cattivi sentimenti d’intolleranza, nello spirito dei tempi nostri. Allora avanti, “duri sulle droghe”. What else?

Vai alla breve scheda sintetica dell’articolo di David Nutt su The Guardian, 3 novembre 2009 a cura di Grazia Zuffa

Vai all’articolo originale (in inglese)